Girato nell’arco di due anni seguendo il corso delle stagioni, e filmandone le loro variazioni, nella città di Hangzhou e nella prefettura di Fuyang nel Sud della Cina, incastonata tra le montagne e il fiume Fuchun, Tiepide acque di primavera di Gu Xiaogang ha l’andamento del racconto epico, la sensorialità di far trasparire la millenaria storia di un luogo, l’abilità narrativa di scorrere e intrecciare le tante vicende che capitano a una famiglia e ai suoi numerosi personaggi, il tocco morbido e fluente di cristallizzare nelle immagini, e nei tanti piani che compongono e stratificano ognuna di esse, grazie all’uso magistrale del piano sequenza, il passaggio del tempo e delle trasformazioni tanto nelle vite degli uomini e delle donne che entrano e escono di scena quanto nelle architetture di un ambiente così ricco di memoria ma che in parte sta per essere cancellato per sempre a causa della gentrificazione.

FINZIONE e documentario, inevitabilmente, si sovrappongono. Come in tanto altro cinema, cinese e non, il film (ma, si sa, ogni film assume in sé questa funzione) diventa testimone «finale» di un cambiamento, si pensi anche soltanto ai riferimenti più espliciti, alle scene che documentano la demolizione di case e quartieri (ed ecco fare capolino le opere di cineasti come Jia Zhang-ke o Pedro Costa). Ma Tiepide acque di primavera è ugualmente un film autobiografico. Gu lo ha infatti realizzato nella sua città natale, vi recitano persone del suo nucleo familiare e si è basato sulla storia dei genitori che gestivano un ristorante. E in un ristorante, nel primo lungo, corale, coreografato piano sequenza, il film si apre. Lì i membri di una famiglia si sono riuniti per festeggiare i 70 anni della madre e nonna. Un clima di festa interrotto dal malore che costringerà l’anziana a venire ricoverata, ma che rimarrà personaggio centrale, punto d’orientamento (proprio mentre lei sta perdendo la memoria e si perderà allontanandosi da casa) per chi le sta accanto (memorabile la scena nella quale prende le parti della nipote innamorata di un giovane che invece la madre osteggia).

OPERA monumentale, per durata (due ore e mezzo che costituiscono solo la prima parte di una trilogia) e ampiezza di movimenti di macchina che indagano lo spazio in orizzontale e verticale, innalzandosi a creare archi e volte negli spazi urbani e della natura o scorrendo lateralmente con carrelli che si vorrebbe non finissero mai (quello che segue l’uomo a nuoto e la donna a piedi sul lungo fiume è un capolavoro di apnea visiva che fa venire in mente il fiume, le sue rive, i due uomini in cammino di Infinitas di Marlen Kuciev), sempre con l’intenzione di dare il tempo all’occhio di scrutare i molteplici livelli di cui è composta ciascuna inquadratura, Tiepide acque di primavera ha una solida base nella pittura cinese. Nello specifico, la pergamena nota come Dwelling in the Fuchun Mountains, dipinta nel XIV secolo da Huang Gongwang, citata nel film e che ha ispirato Gu. Il quale ha concepito il film alla stregua di un quadro dove prima ci si sofferma su un elemento, poi osservando meglio se ne scoprono altri. Tante cose si verificano simultaneamente, alcune assurgono a protagoniste, altre rimangono sullo sfondo, tutte sono necessarie a descrivere il vivere e il morire, il resistere e lo sprofondare, il soggiornare e l’abitare, l’innamorarsi e il disperdersi all’interno di un film che nel 2019 (esce in Italia con due anni di ritardo) ha rivelato un autore trentenne proveniente dal documentario.