La doccia fredda è arrivata lunedì sera, comunicata attraverso il sito dell’azienda: il gruppo tedesco Thyssenkrupp rimette sul mercato l’Ast di Terni, uno dei principali siti siderurgici d’Europa specializzato nella produzione di inox, in cerca di un compratore o un partner. La necessità di un consolidamento si «è resa ancora più necessaria alla luce dell’emergenza Coronavirus», si legge nella nota.

La Thyssenkrupp ha deciso di cambiare radicalmente assetto: lo scorso febbraio ha venduto il comparto ascensori, il più redditizio, per 17,2 miliardi di euro, quindi ha deciso di abbandonare o diminuire la sua presenza nei settori siderurgia e cantieristica e abbandonare quello tecnologico. Nel primo comparto, ci sono trattative con i cinesi di Baosteel, gli svedesi di Ssab e gli indiani di Tata Steel. La nuova strategia prevede che le attività in vendita vengano raggruppate in una società separata, una sorta di bad company, che include la costruzione di impianti, l’Ast e il settore delle forniture automobilistiche.

Le acciaierie di Terni sono in mano ai tedeschi dagli anni Novanta. Nel 2010 i primi segnali di difficoltà. Nel 2014 Thyssenkrupp decise la vendita degli impianti umbri ai finlandesi di Outokumpu ma l’operazione venne bloccata dall’Antitrust europeo. Allora i sindacati ingaggiarono una battaglia: 36 giorni di sciopero (incluse le cariche delle forze dell’ordine contro i cortei operai) e 300 esuberi volontari ma venne scongiurata la liquidazione del sito. «La strategia era quella, evidente, di erodere progressivamente i livelli produttivi e occupazionali per togliere centralità a Terni nella strategia della multinazionale tedesca» ricorda Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom e responsabile Siderurgia. L’anno scorso nuovo tentativo di vendita alla Tata e nuovo stop dall’Antitrust Ue. Così il gruppo vara il Piano per l’Acciaio 20-30 con il taglio di 3mila posti di lavoro e investimenti per 800 milioni di euro nei successivi sei anni. A febbraio altro cambio di strategia.

L’Ast conta 2.350 dipendenti diretti e 150 interinali più l’indotto con oltre 200 milioni di utili complessivi dal 2016 al 2019. Cgil, Cisl e Uil chiedono a Thyssenkrupp di sospendere la procedura e avviare un tavolo con il governo. «La decisione di vendere – spiega Venturi – arriva dopo una semestrale di cassa disastrosa che non ha quasi nulla a che fare con il Covid-19. La perdita arriva fino a marzo, c’è appena l’impatto del virus. La pandemia ha solo drammatizza una condizione già complicata tanto è vero che la capogruppo Thyssen fa un’operazione di riorganizzazione degli asset facendo scelte sempre meno industriali e sempre più legate a ritorni finanziari di breve termine».

Ci vuole l’intervento dell’esecutivo, sottolinea Venturi: «Non si tratta solo della salvaguardia dell’occupazione ma anche della prospettiva strategica della produzione di acciai speciali in Italia. Si tratta di un settore fondamentale e Terni ne è il motore. Le soluzioni si possono trovare, incluso l’intervento diretto nel capitale sociale da parte dello stato. Si possono trovare attori italiani o anche gruppi come i coreani ma il governo si deve decidere a fare una politica industriale nel siderurgico. Ci vuole una regia pubblica per orientare le scelte».