Ron Gilbert, 53 anni, può essere considerato il padre delle «avventure grafiche».
Il suo Maniac Mansion del 1987 per Lucasfilm Games e ancor più The Secret of Monkey Island del 1990 per LucasArts (per molti la vera ispirazione per la saga cinematografica dei Pirati dei Caraibi) sono ricordati dai videogiocatori come titoli fondamentali nella storia del medium.

In più la filosofia di Ron Gilbert – che divenne anche quella di LucasArts – per i suoi giochi era che il giocatore doveva essere libro di provare ed esplorare senza arrivare ad un «Game Over» per una scelta stupida o per mancanza di tempismo. Al contrario: la presenza di «easter egg» spingeva i giocatori ad esaminare anche i posti e le possibilità più remoti ed improbabili, in alcuni casi trovandosi di fronte a gustose gag o a citazioni da altri videogiochi, da libri o film (tra cui ovviamente quelli della consociata LucasFilm).

Nonostante l’apprezzamento però, le avventure grafiche col declinare degli anni ’90 subiscono una profonda crisi a fronte del diffondersi delle console come piattaforme di gioco e dalla loro preferenza per titoli maggiormente «action». Di recente Double Fine ha creato una versione «remastered» del seguito di Maniac Mansion, Day of the Tentacle (acquistabile sugli store digitali di Playstation, Apple, Steam e GOG), al cui interno è presente – come easter egg – la versione completa di Maniac Mansion, considerato uno dei migliori videogiochi di sempre.

I programmatori di Double Fine, oltre ad aggiornare la grafica, hanno aggiunto un sistema di controllo maggiormente congeniale all’utilizzo mediante pad perché dispone di una ruota di opzioni al posto della griglia di verbi/azioni.
Ecco ora arrivare Gilbert con Thimbleweed Park – disponibile per Mac, Windows, Linux e Xbox One – in cui invece dimostra che è possibile ancora oggi creare un’avventura grafica contemporaneamente appassionante ed in grado di raccogliere adeguati fondi per la sua produzione (tramite Kickstarter) anche senza ricorrere ad ausili per i giocatori delle console, e anzi riproponendo il sistema di «punta e clicca» e teletrasportando il videogiocatore nella provincia americana di trent’anni fa, esattamente nell’anno di nascita di Maniac Mansion.

Ron Gilbert racconta la storia di un omicidio a Thimbleweed Park, paesino di 80 anime, un tempo prospero per la presenza di una fabbrica di cuscini, ma in declino da quando il proprietario, il da poco scomparso Chuck, si è dedicato piuttosto alla realizzazione di elaboratori a valvole. L’omicidio di un anonimo visitatore porta a Thimbleweed Park due agenti dell’FBI – Angela Ray e Antonio Reyes, ognuno dei due con motivazioni personali che si vanno ad aggiungere all’incarico di smascherare l’assassino – e insieme a loro degli altri personaggi: il clown Ransome, che si deve liberare dalla maledizione di non potersi togliere il trucco; Delores, nipote di Chuck che lo ha deluso quando, invece di impiegare il proprio genio in favore della fabbrica, se ne è andata per sviluppare videogiochi; Franklin, il padre di Delores in contrasto col fratello di Chuck per la gestione della fabbrica.

Ognuno di loro dovrà contribuire alla soluzione dell’enigma di Thimbleweed Park, e la presenza di personaggi diversi da controllare riporta subito alla mente proprio Maniac Mansion (e Day of the Tentacle). Al recupero delle modalità tradizionali di controllo, alla creazione di una deliziosa grafica retrò, corrisponde una trama genialmente meta-videoludica, che ripercorre con ironia e nostalgia la nascita di un genere per far riappassionare – dopovent’anni anni di oblio – i vecchi videogiocatori ed intrigare quelli nuovi.