L’attacco su un idillio familiare – il rito di un pasto, le lampade a petrolio che si accendono all’imbrunire, gli animali messi al sicuro nella stalla, il bucato steso all’aria aperta… – in un western, e’ quasi sempre il presagio di una tragedia imminente. Sulle orme di Ford, Tarantino, del Giulio Petroni di Death Rides a Horse (Da uomo a uomo) e di molti altri, la pop star inglese Jeymes Samuel (nome d’arte, musicalmente parlando, The Bullitts) ambienta così l’inizio del suo primo lungometraggio dietro alla macchina da presa. Titolo inaugurale del London Film Festival 2021 e, dal 3 novembre, su Netflix, The Harder They Fall attinge a piene mani da tutta la storia del western – classico, spaghetti e post modern.

PAESAGGI STERMINATI, cavalieri dalle lunghe ombre, rapine al treno, risse da saloon, duelli da Main Street che si avvicendano tenuti insieme dal leitmotiv della vendetta – un must del genere anche quello, che Samuel e il co-sceneggiatore Boaz Yakin giocano su due livelli, uno esplicitamente drammatico e l’altro della metafora. «Gli eventi a cui state per assistere sono fiction. Ma questi personaggi sono realmente esistiti», intima una scritta all’inizio del film. È meno un’informazione che una dichiarazione d’intento – The Harder They Fall si pone come un correttivo, se non della Storia sicuramente del genere.
Il film di Samuel non e’ il primo Black western – tra i piu’ famosi, basta ricordare Buck and The Preacher (Non predicare spara), di Sidney Poitier, e Posse di Mario Van Peebles. Ma è sicuramente quello più programmaticamente impostato, una scommessa calcolata a tavolino. La Frontiera di The Harder They Fall è un universo parallelo, dove i bianchi si intravedono solo due volte – a malapena delle comparse nel teatro della storia e della Storia. Le scelta sarebbe interessante, intellettualmente e politicamente provocatoria se il film non rimanesse sempre e solo in superficie, «nascosto» dietro al profilo altissimo del suo cast (Idris Elba, Jonathan Majors, Regina King, Zazie Beetz, Delroy Lindo, Lakeith Stanfield …), alla fotografia imponente, e a una colonna sonora che frulla creativamente le musiche di Samuel, Jay-Z (anche produttore) Fela Kuti a Lauryn Hill. Tra i «personaggi realmente esistiti» che appaiono nel film c’è Nat Love, leggendario pistolero afroamericano. Lo incontriamo da bambino, la famiglia raccolta intorno al tavolo, quando uno straniero di cui intravediamo a malapena il volto arriva e uccide a sangue freddo mamma e papà (il massacro è fiction. Love era un ex schiavo arrivato nel West dal Tennessee).

UN CUT E NAT è adulto (e ha il volto di Majors, protagonista di The Last Black in Man in San Francisco ma soprattutto di Lovecraft Country, il che accentua il senso di universo parallelo del film), è diventato un bandito. È un bandito anche Rufus Buck (Elba). Lo vediamo in faccia quando la sua gang, comandata da Trecherous Trudy (King, nei panni di un’altra leggenda del West) lo aiuta ad evadere assaltando il treno su cui è prigioniero, è così pericoloso che sta chiuso in una cassaforte.
Insieme a King, Elba porta respiro e una maestà malinconica al film. Purtroppo non bastano come non bastano i fantasmi di Ford, Corbucci, Poitier, Tarantino…ampiamente citati ma del cui spirito, e della cui arte, si sente veramente la mancanza.