Il personale del cinema ha trovato i corpi di due spettatori feriti da colpi di pistola alla testa, facendo le pulizie. Uno era già morto, l’altro sarebbe mancato all’ospedale, la settimana successiva.

Come descritta dal «New York Times», la scena, avvenuta in una sala di Corona, una cinquantina di chilometri a sud di Los Angeles, non offre solo un quadro poco incoraggiante della salute delle sale cinematografiche, con le maschere che scoprono cadaveri mentre spazzano i popcorn (quanta gente c’era nella sala, se nessuno si è accorto di una sparatoria?), ma nella sua solitaria insensatezza (non c’è movente per il delitto. Il sospetto assassino è stato arrestato qualche giorno dopo, a casa sua) pare anche un segno dei tempi.

CI STA quindi che il film che i malcapitati Anthony Barajas e Rylee Goodrich (di diciannove e diciotto anni – Barajas era un influencer di Tik Tok) erano andati a vedere, prima di essere uccisi, sia The Forever Purge, l’ultimo capitolo dalla franchise distopica ideata da James Monaco nel 2013, e che, da allora ad oggi, ha fedelmente accompagnato la distopia della nostra realtà.

Scritto come sempre da Monaco, ma diretto dall’esordiente Everardo Gout, il nuovo film trasporta la storia fuori del set metropolitano che ha ospitato i capitoli precedenti. E, almeno all’inizio, oltre il confine con il Messico.

Juan (Tenoch Huerta) e Adela (Ana de la Reguera), sono parte di un gruppo di migranti impauriti che, dopo aver percorso un labirinto di tunnel sotterranei guidati da un bambino, sbucano in America a pochi passi dal muro di Trump.
Dieci mesi dopo la coppia si è fatta una vita trovando impiego in una cittadina del Texas. Lei in uno stabilimento di lavorazione della carne, lui presso un ranch, dove la sua abilità con i cavalli selvaggi desta l’invidia di Dylan (Josh Lucas), il figlio un po’ razzista del patriarca di famiglia.

FELICE l’ambientazione western, che coniuga il paesaggio originale del mito americano con i nuovi arrivati d’oltre confine – Tenoch è un cowboy migliore di Dylan. Ma quella del territorio non è la sola affinità tra questi uomini che non si piacciono a vicenda.

CON IL TRATTO esplicitamente politico che caratterizza i film delle serie, Monaco ha in mente un’architettura delle alleanze complessa che emerge con l’alba del mattino dopo «La notte della purge». Quando la violenza non si ferma perchè è diventata «per sempre».

In un’atmosfera di anarchia totale che ricorda un po’ i Mad Max un po’ Machete Kills di Robert Rodriguez, in un lungo inseguimento nel deserto e poi tra le strade di El Paso messa a ferro e a fuoco, i ricchi proprietari del ranch si uniscono ai migranti messicani nella lotta per la sopravvivenza contro un esercito di purgers bianchi, maschi, ignoranti e razzisti (la deriva trumpista in chiave post-apocalittica).

E alla fine, quando le cose si mettono male per i nostri eroi, è un gruppo di nativi d’America che fa la parte della cavalleria. Un sogno liberal? Sicuramente. Ma certo non meno strano e implausibile delle testimonianze dei poliziotti di Capitol Hill riguardo all’attacco del 6 gennaio al palazzo del congresso. E quello non era un film.