L’immagine parziale «imprigionata» da una fotografia restituisce la frammentarietà di una storia impossibile da ricostruire nella sua interezza: il genocidio degli ebrei, le voci, le persone, le famiglie cancellate, la strada dell’oblio deliberatamente intrapresa dalla Romania – e non solo – nei confronti dei crimini commessi durante l’epoca nazista e ancora prima, in un odio che affonda le sue radici nei secoli. Ed è attraverso le fotografie che Radu Jude con il suo The Dead Nation (2017) – CineAgenzia e Festivaletteratura lo portano in tour per l’Italia in occasione della Giornata della Memoria: primo appuntamento oggi a Perugia, a Roma il film sarà al Palazzo delle Esposizioni a partire proprio dal 27 gennaio – ripercorre la storia della persecuzione degli ebrei nel suo Paese.

Sono le foto scattate, fra gli anni Trenta e i Quaranta , da un fotografo che ha aperto il suo studio in una cittadina rurale romena, Slobozia, nel 1931. Ma le sue immagini non raccontano l’ascesa al potere del fascismo, i massacri, le «imprese» di guerra – sono ritratti, perlopiù familiari: coppie con i loro figli, foto di gruppo di amici o legionari fieri che mostrano le loro armi o fanno il saluto romano. Sono loro la «nazione morta» del titolo: la nazione complice di un crimine che nella sua assolutezza getta l’ombra della condanna su tutti.

AD ACCOMPAGNARE le foto ci sono gli appunti sul diario del medico e poeta ebreo Emil Dorian, che vive con la sua famiglia a Bucarest, a partire dal 1937 (perderà il lavoro l’anno dopo in quanto ebreo) e registra l’escalation del male con una lucidità e una inesauribile forza di pensiero che sembra impossibile per chi stava vivendo quotidianamente – e sempre più – la violenza, la fame e l’angoscia di un futuro che poteva apparire solo di morte. «Che valore può avere la cittadinanza se un ministro può sospenderla con un decreto?» si chiede nel 1938, quando ancora non c’erano pogrom quotidiani e non erano iniziate le deportazioni sistematiche ma il governo romeno aveva emanato un decreto che imponeva la revisione della cittadinanza di tutti gli ebrei.

Sono parole che risuonano nel nostro presente e ben oltre i confini della Romania, la quale peraltro condivide con l’Italia una parabola durante la seconda guerra mondiale con molti punti di contatto – come l’«abbandono» delle potenze dell’Asse verso la fine del conflitto – e in primo luogo la mancanza di un serio confronto della nazione tutta con la partecipazione al progetto di sterminio: l’individuazione di pochi capri espiatori in un quadro in cui sistematicamente le autorità responsabili della persecuzione restavano ai loro posti, così come coloro che li avevano sottratti agli ebrei.

UN MANCATO confronto che incide sulla memoria e consente come denuncia il regista di addossare le colpe non ai «buoni» rumeni – come li descrive accorato il patriarca di Romania all’arcivescovo di Londra quando cominciano i bombardamenti su Bucarest – o agli «italiani brava gente», ma alla volontà imposta dai nazisti sugli alleati e i sottomessi.

«Fino a pochi anni fa – dice infatti Jude – i romeni erano abituati a considerarne responsabili i tedeschi, e malgrado gli studi di molti storici avessero dimostrato le responsabilità della Romania nell’Olocausto, nella coscienza collettiva del nostro paese nulla era cambiato. Ho sentito il bisogno di affrontare questo tema, perché sono rumeno e credo sia importante e urgente, in particolare ora che in tutta Europa assistiamo al ritorno dell’estremismo». Un’indagine sul razzismo e l’odio che Jude non compie solo in The Dead Nation ma anche nel suo film più recente, dal titolo significativo – I Do Not Care if We Go Down in History as Barbarians (Non mi importa se passeremo alla Storia come barbari) – sul massacro di Odessa del 1941.

O anche in Aferim!, vincitore nel 2015 dell’Orso d’argento a Berlino: una commedia tragica sulle radici dell’odio e dell’intolleranza ambientata nella Romania dell’Ottocento sulla falsariga delle avventure di Don Chisciotte. In quel film, il bianco e nero metteva una distanza fra lo spettatore e il racconto, «denunciandolo» in quanto tale, in The Dead Nation invece lo conduce nei frammenti incancellabili della Storia.