Visioni

«The Bear», il lavoro in controluce nei meandri di una cucina

«The Bear», il lavoro in controluce nei meandri di una cucinaJeremy Allen White in «The Bear»

Serialità «The Bear» su Disney+ mostra le dinamiche umane alle prese con l’opposizione di profitto e creatività. Creata da Christopher Storer, attore protagonista Jeremy Allen White

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 7 ottobre 2022

Un uomo avanza per strada. Davanti a lui, una gabbia bianca. La apre, rincuorando il prigioniero. «Va tutto bene», dice. Da quella piccola cella però esce un orso e non sembra disposto alla mitezza. I due si fronteggiano. L’animale è minaccioso e sta per aggredire chi lo ha appena liberato. Incubo, sogno rivelatore o falsa pista?
Stacco. Sono le sei e cinque minuti del mattino. Lo stesso uomo si sveglia di soprassalto. È dentro la cucina di un ristorante, anzi di una paninoteca. Tutto diventa più frenetico. Arrivano le provviste, i soldi scarseggiano, i debiti invece sono tanti. Il locale fino a qualche giorno prima era chiuso, in seguito si capirà che un lutto ha stravolto regole e quotidianità. Immagini di repertorio ricordano che esistono una famiglia con dolci ricordi e traumi e, soprattutto, una città, Chicago.

RUMORI, voci che si sovrappongono, vecchi videogiochi che penetrano nel cervello come una lama nella carne, posate e attrezzi da cucina che entrano in azione, individui che corrono sullo stesso filo mantenendo un equilibrio precario. Potrebbero cadere, precipitare da un momento all’altro portandosi dietro i propri demoni. Qualcuno nasconde la paura maldestramente dietro battute volgari e ciniche, altri hanno semplicemente timore a scoprire l’esito di una propria scelta.
L’uomo dell’orso è il capo, i sottoposti comunque sono chiamati democraticamente chef, affinché si crei un’armonia basata sul rispetto reciproco, sulla voglia di contare qualcosa e di sentirsi pari agli altri. Evidentemente non basta. A dominare è il caos perché aiuti e insulti, urla e risate, divergenze e alleanze, dispetti e favori, giungono a destinazione sempre nel medesimo istante.
The Bear, nuova serie visibile in Italia dal 5 ottobre su Disney+, in un certo senso ha un esordio violento, anche se non scorre il sangue e non si commettono atti criminali. Ognuno dei protagonisti è come se fosse stato preso in ostaggio dalla realtà circostante. Persone costrette a stare in quel luogo e, al tempo stesso, desiderose di essere lì e non altrove. Prigioniere degli eventi e contemporaneamente dei propri istinti. Obbligate a subire l’esuberanza di chi vuole mettersi in mostra, timorose di sbagliare qualcosa e di non essere in grado di affrontare l’impresa.
The Bear è un piccolo mondo costruito sapientemente da Christopher Storer, interpretato da ottimi attori a partire da Jeremy Allen White che dà voce e corpo a Carmen «Carmy» Berzatto, il grande chef che ha ereditato da suo fratello morto suicida una paninoteca. Un esercizio che ora tra debiti, continui imprevisti, un lutto che fatica a elaborare, una complicata situazione famigliare e tanti dubbi su di sé, vorrebbe trasformare in qualcosa d’altro. A eccellere nelle diverse parti, è anche il resto del cast. Così come ottima è la fotografia, la capacità della videocamera di muoversi tra spazi angusti, e azzeccate sono pure le musiche.

Il successo di pubblico e critica di The Bear, tuttavia, non deriva solo dalla realizzazione e dalla raffinatezza di un prodotto che scorre attraverso otto puntate da meno di mezzora, e che si tiene alla larga da stereotipi e da modelli usurati. Perché la serie non si gioca, ad esempio, esclusivamente sul contrasto tra Carmy e il cugino-amico Richie, l’alter ego, quello che la sa lunga, che ha combattuto mille battaglie e vorrebbe gestire gli affari alla vecchia maniera, magari con qualche extra e con tanti insipidi spaghetti al pomodoro da somministrare a distratti consumatori.

NELLA PANINOTECA troviamo qualcosa che ci appartiene intimamente, che viviamo in forme diverse ma che alla fine riconosciamo come un’esperienza condivisa, in particolar modo se a incrociarsi sono i sentieri della creatività, del profitto e della cosiddetta sostenibilità. Carmy, Richie, Sydney l’aspirante chef con tante idee per migliorare la qualità del ristorante, Marcus il panettiere che si mette in testa l’idea di cucinare la ciambella perfetta, Tina la cuoca che ha paura che qualcosa cambi, sono la riformulazione del nostro mondo, della voglia di sollevarci dalla mediocrità e della paura di cadere da ancora più in alto.

«AVEVO iniziato da McDonald’s. Lì non puoi essere creativo. Lavori solo come un robot e tutto è automatico, veloce e facile. Non farò più errori», confessa sconsolato Marcus dopo che per ambizione ha causato un danno all’intero impianto elettrico. «Sì che ne farai – risponde Carmy – non perché sei tu, ma solo perché queste cose succedono. Ho bruciato una friggitrice la sera dopo aver vinto il premio Food and Wine. Quasi incendiavo il locale. Succede anche una cosa strana. C’è un momento in cui stai guardando il fuoco e pensi: se non faccio niente, questo posto brucerà e tutta la mia ansia se ne andrà». Ma alla fine prevale la volontà di spegnere il fuoco e di ricominciare, tra fallimenti e successi.

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