Il buio è sempre stato il luogo – fisico e metaforico – di Batman. Una condizione che Tim Burton aveva virato in modo esistenzial/personalissimo, che Joel Schumacher aveva illuminato di camp e che è stata monumentalizzata da Christopher Nolan. Matt Reeves, il regista dei due miglior reboot di Il pianeta delle scimmie, a cui è stato affidato il compito di inaugurare quello che è in un certo senso il terzo ciclo delle avventure dell’uomo pipistrello, fa suo il buio, prima di tutto in modo letterale. Se non fossero bastati il trailer e le fotografie del film diffuse alla stampa, a evocare i toni pece in cui Reeves ha immerso The Batman, basti sapere che la Wb ha corredato i proiezionisti delle sale americane di «istruzioni per l’uso», in modo da essere sicuri che sullo schermo si riesca a intravedere qualcosa.

IL NERO di Reeves, e del suo direttore della fotografia Greig Fraser (Dune, Rogue One) è meno lucido, volumetrico, di quello di Nolan/Wally Pfister. Ha la qualità materica di una nebbia esistenziale che copre tutto, sfumando i contorni degli edifici e delle persone, una nebbia che ti sembra di poter afferrare con la mano, dalla sala, la cui umidità ti entra nelle ossa. In questa sua interiorizzazione emotiva del colore, The Batman ricorda un po’ il ciclo burtoniano, ripreso – oltre che per la presenza di alcuni personaggi- nella sequenza iniziale ambientata durante la notte di Halloween (era Natale in Batman Returns, quando i grotteschi sgherri di Penguin fanno la loro prima irruzione a Gotham City), una notte di mostri e di violenza mostruosa in cui Batman ha solo l’imbarazzo della scelta su dove intervenire. Il girone infernale in cui calarsi. La vittima più famosa di quella notte -uccisa con una meticolosa brutalità che ricorda il Fincher di Seven – sarà il sindaco della città, identificato – nella prima immagine del film- attraverso lo sguardo del killer che lo «inquadra» da un edificio dall’altra parte della strada.

È UNO SGUARDO in parte sfocato (The Batman è un film che chiede continuamente all’occhio a lavorare di più), che appartiene a una persona con il respiro angosciosamente pesante. Pervaso anche lui da quell’angoscia, il Batman/Bruce Wayne di Robert Pattinson è più giovane ma anche più stanco di quelli che lo hanno preceduto. Un giustiziere della notte che non atterra volteggiando magicamente giù dal cielo, sulla scena di un crimine, ma più spesso ci arriva «a piedi», facendosi largo tra i poliziotti come un altro tecnico della forensica. Reeves (che è anche co-sceneggiatore, insieme a Mattson Tomlin e Peter Craig) accentua la qualità terrena del suo Batman, sottolineata anche dal rapporto regolare, quasi amicale, che ha con il luogotenente di polizia James Gordon (Jeffrey Wright).

È UNA CONSUETUDINE la loro – come quella del serial killer a base di indovinelli che stanno cercando di identificare – che ci riporta in modo simpatico alla dimensione narrativa (e stilistica) seriale del fumetto. Piuttosto che a quella di un film evento da centinaia di migliaia di dollari. Poco glamour anche le limitate apparizioni dell’orfano multimiliardario Bruce Wayne, il volto elegante di Pattinson sempre vagamente addolorato. Se, a tratti, le tre ore di durata del film sembrano un po’ lunghe, in tutta la sua cupezza, The Batman rimane un film curiosamente «leggero», che (ci) evita la magniloquenza pretenziosa di Nolan e la pesantezza caotica di Snyder. Un film senz’altro meno indelebile e audace di Joker, ma che si presta bene al suo inevitabile destino di sequel e spinoff. Come nel caso di Pattinson, gran parte del resto del cast – Zoe Kravitz è Selena Kyle/Catwoman; Paul Dano Edward Nashton/Riddler; Peter Sarsggard il procuratore; Colin Farrell Oswald Cobblepot/Penguin) è aggiornata non solo generazionalmente ma anche culturalmente, in chiave più hipster/indipendente.