Il generale Prayuth, a capo dell’esercito tailandese, ieri ha dichiarato il colpo di Stato. La notizia è arrivata due giorni dopo l’imposizione della legge marziale e non fa che portare il paese verso la guerra civile. Se la legge marziale era già stata accolta da numerosi osservatori come un «mezzo golpe», essendo imposta dall’esercito senza né il benestare del re, né la controfirma del premier – entrambi richiesti dalla costituzione – e limitando considerevolmente i poteri del governo, che si era visto addirittura gli uffici usurpati dai militari, il golpe ha spianato la strada all’arresto dei leader politici, sia di maggioranza sia di opposizione e dei capi delle proteste di entrambe le fazioni, che da oltre otto anni caratterizzano il paese.

La società tailandese – un tempo tra le più unite del sud est asiatico – è spaccata in due da quando, nel 2006, l’esercito perpetrò un colpo di Stato contro il governo di Thaksin Shinawatra, cui seguì oltre un anno di legge marziale.

Il golpe di oggi continua la stessa battaglia di allora: conto Thaksin, il politico ed ex magnate delle telecomunicazioni campione di voti dall’inizio del nuovo millennio, grazie a una serie di provvedimenti – da un programma di sanità pubblica praticamente gratuito a un sistema di credito ad agricoltori e piccoli imprenditori – che gli ha consentito di fare breccia nel cuore del popoloso elettorato di provincia.

La popolarità di Thaksin rappresenta un pericolo nei confronti delle elite bangkokiane – le uniche famiglie che, fino all’entrata in politica dell’imprenditore, avevano il monopolio della politica tailandese – specialmente alla luce di una imminente successione al trono che sembra vedere l’aristocrazia frammentata e alleata a settori diversi delle forze armate, con il risultato di alleanze talvolta imprevedibili. Questa battaglia ha spesso assunto i toni religiosi, con i media che in più occasioni hanno rappresentato Thaksin come Mara, il demonio della mitologia buddista, in opposizione alla guida spirituale di Re Bhumibol, l’anziano e venerato sovrano.

Dal golpe del 2006 in poi, ogni risultato elettorale è stato annullato a favore di un governo «di parte», che sembra invece puntualmente vicino alle elite di Bangkok e antagonista nei confronti di Thaksin.

Dopo avere suggerito per mesi la colpevolezza delle camicie rosse, i supporter di Thaksin, e dopo avere partecipato nel 2010 a un’operazione militare ordinata dall’opposizione (allora al governo ad interim) che risultò nella morte di quasi cento camicie rosse, le immagini di un leader delle camicie rosse, il dottor Weng, prelevato con forza da una manifestazione pacifica nella capitale e portato in un luogo segreto, stanno facendo il giro del web.

A questo si aggiungono le voci di altri leader rossi arrestati in più parti del paese in località rurali, in contrasto, dicono le voci, con il trattamento riservato ai leader dell’opposizione. Il presente colpo di Stato sembra avere già consentito all’esercito di congelare gli assetti della famiglia Shinawatra, i cui membri si crede siano tutti scappati all’estero.

Niwatthamrong, premier da quando la legge marziale ha rimosso la leader della maggioranza, Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin, è scomparso, e potrebbe già essere fuori dal paese. Il pericolo maggiore viene ovviamente da elementi all’interno delle camicie rosse stesse, che, frustrate dall’intervento militare e senza leader, potrebbero hanno già paventato l’eventualità di una guerra civile più volte, negli scorsi mesi. Il colpo di Stato ha ovviamente notevoli ripercussioni sull’economia tailandese. Investitori stranieri – specie americani e giapponesi – lamentano da parecchi mesi l’instabilità politica del paese e altri Stati del sudest asiatico – dal Vietnam alla Malesia – sono alternative valide per basso costo dei lavoratori e infrastrutture idonee alla produzione manifatturiera. Il turismo, nonostante le preoccupazioni di rendere il golpe il più «tourist friendly» possibile, difficilmente reggerà questo ennesimo ricaduta.