L’accordo con le banche per mettere direttamente in busta paga mensile il Tfr, su base volontaria, è dietro l’angolo. Parola di Matteo Renzi, dal palco dell’assemblea di Confindustria a Bergamo: «Presenteremo l’operazione con le banche nelle prossime ore». Ed ecco che la liquidità delle piccole e medie imprese sarà magicamente garantita. E’ un esempio da manuale di come vendersi la pelle di un orso che non solo è ancora vivo e vegeto, ma anche tutt’altro che facile da abbattersi.

14pol1 sotto sinistra renzi bergamo confindustria  cfa5c_o
La replica del direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini è infatti una doccia gelata sugli ardori del dinamicissimo di palazzo Chigi, sia pur presentata con la dovuta felpatezza: «Quando ci sarà un testo forniremo la nostra valutazione, pronti a esaminarlo senza pregiudizio. Per ora ci sono stati contatti di natura tecnico-giuridica». Tradotto significa che mentre il premier giura di essere praticamente già sbarcato, secondo le banche la faccenda è ancora in alto mare. Manca la base stessa di una discussione seria: una formulazione giuridica sulla quale lavorare concretamente e non in via ipotetica. Del resto, lo stesso studio di fattibilità sulla manovra Tfr in circolazione a palazzo Chigi afferma chiaramente che le questioni giuridiche non sono ancora state considerate ma «vanno affrontate».

Gli ostacoli sono ancora molti, e impervi. Prima di tutto il testo, con tanto di formulazione giuridica quando ci sarà, dovrà essere vagliato e vistato non solo e non tanto dalla Banca centrale italiana ma soprattutto dalla Bce e dall’Eba (European Banking Authority), l’autorità di sorveglianza bancaria europea con sede a Londra. Spetta a loro l’ultima parola su operazioni di questo tipo, essendosi già consumata, in materia, la cessione di sovranità dell’Italia a favore dell’Europa. Dunque sono la Bce e l’Eba e dover accettare o respingere la proposta di un prestito delle banche alle imprese a un tasso che lo studio di fattibilità di palazzo Chigi stima al 2,3%, particolarmente basso E’ vero che il presidente dell’Eba è un italiano, Andrea Enria, ma è anche vero che il medesimo è noto più per la severità che per la disponibilità a lasciar correre.

In secondo luogo, Renzi ha sempre assicurato che l’operazione è subordinata alla firma di un accordo tra le banche e le aziende, dunque a un semaforo verde da parte di entrambe le parti. Non è però chiaro quale sarebbe il vantaggio per le aziende dal momento che, mentre il Tfr non è considerato come debito nel bilancio, il prestito delle banche lo sarebbe, con ovvie conseguenze sul costo del denaro per le imprese medesime.

Non è poi stato risolto il nodo dei fondi integrativi, segnalato di nuovo ieri dal commissario dell’Ins Tiziano Treu: «Se si mette il Tfr in busta paga viene meno una delle fonti principali della previdenza integrativa, e questo è un problema soprattutto per i giovani». A titolo personale, lo stesso Treu lancia quindi una proposta alternativa: «Si potrebbe fare un intervento di emergenza per tre o quattro anni e poi tornare a destinare il Tfr alla previdenza integrativa». A conti fatti, dunque, Renzi sta seguendo la sua eterna strategia: puntare sull’effetto annuncio, convinto che, una volta data per acquisita un’operazione che acquisita non è, nessuno potrà poi bloccarla. In questa situazione, con tante incognite ancora non solo da risolvere ma addirittura da affrontare, l’ipotesi di arrivare alla presentazione della legge di stabilità con la matassa Tfr già dipanata è poco realistica. Il presidente del consiglio punta probabilmente a prefigurarla nelle ottimistiche dichiarazioni d’intenti per poi inserirla nella legge di stabilità a metà percorso, con un emendamento ad hoc.

Ma si può star certi che in nessun caso la lascerà cadere.

Quell’operazione Matteo Renzi la vuole a ogni costo e farà valere per intero il peso della politica, e del potere politico, per vincere le resistenze dettate dalle considerazioni economiche. Nei prossimi giorni eserciterà ogni forma di pressione possibile, non esclusa se necessario la minaccia di far saltare tutto, su tutti i soggetti coinvolti: sulla banche, sulle imprese e anche sulle istituzioni finanziarie europee.