«Sei d’accordo con me che il cervello dei neonati deve avere un gusto come di nocciolina?». Questa provocatoria domanda fatta a bruciapelo da Baudelaire a Félix Tournachon, detto Nadar (1820-1910) è riportata nel volumetto, proposto per la prima volta in italiano, Charles Baudelaire intimo: il poeta vergine (Robin Edizioni, «Biblioteca del Vascello», pp. 96, € 15,00), curato da Ida Merello e tradotto da Albino Crovetto. Nadar, singolare figura di fotografo, caricaturista e scrittore, fu uno dei più accaniti frequentatori della bohème parigina ottocentesca. È conosciuto soprattutto per i suoi ritratti fotografici che formano un inimitabile Pantheon letterario e artistico della Parigi dell’epoca: da Hugo a Flaubert, da Zola a Gautier, da Rossini a Manet, da Delacroix a Courbet, non c’è artista che non sia stato immortalato da Nadar. Amico di Baudelaire che fotografò a più riprese (la «testa di ghigliottinato» di cui parlano i Goncourt) e di cui fece varie caricature (si pensi a quella, celebre, che illustra Une Charogne in cui è evidente il contrasto tra ricercatezza dell’abbigliamento e squallore del tema trattato), Nadar compose questo libriccino di testimonianze qualche anno prima di morire, sull’onda della pubblicazione delle Œuvres complètes baudelairiane, curate da Jacques Crépet nel 1906.
Nel volumetto, stampato postumo nel 1911, vengono proposti episodi riguardanti la biografia dell’autore delle Fleurs du mal, nonché una serie di lettere indirizzate allo stesso Nadar. La tesi, non molto persuasiva, è che Baudelaire fosse vergine e vivesse i suoi amori allo stato platonico. Si pensi, in questo senso, al corteggiamento effettuato nei confronti di Madame Sabatier, soprannominata la Présidente, che, dopo aver ricevuto alcune liriche in forma anonima, decide di concedersi all’autore delle stesse. Ma Baudelaire vuole vivere tale rapporto sul piano ideale (in Mon cœur mis à nu asserirà, rivelando tutta la sua misoginia: «La donna è naturale, cioè abominevole») e vede franare il monumento che aveva innalzato al suo idolo proprio nel momento in cui può possederlo.
Tra spleen e idéal
Tematiche analoghe abbondano nell’opera baudelairiana, contesa tra spleen e idéal. Al contempo è quanto mai presente quella sensualità, non disgiunta da una sorta di horror vacui, che spesso contamina la tendenza a un platonismo di stampo già «decadente». La donna, per usare le parole di Giovanni Macchia, «è oggetto insieme di culto e di esecrazione». Risulta eloquente, al riguardo, che uno dei titoli originari della raccolta fosse Les Lesbiennes (ma fra i papabili figurava anche Les Limbes), modificato su suggerimento dell’amico Hippolyte Babou. Oltretutto si deve considerare che Baudelaire contrasse in gioventù la sifilide e che lo stesso rapporto con le donne (a cominciare da Jeanne Duval) non era immune da derive di ascendenza sadica. Osservò, molto disinvoltamente, in Fusées: «Nell’atto amoroso c’è una grande somiglianza con la tortura, o con un’operazione chirurgica».
Una delle biografie più attendibili, quella di Claude Pichois e Jean Ziegler, edita nel 1987, non fa che confermare quanto la figura di Baudelaire, per essere credibile sul piano documentario, abbia bisogno di essere svincolata da quell’aura leggendaria che lui stesso aveva contribuito a creare con i suoi atteggiamenti tesi a épater les bourgeois. In tal senso Pichois e Ziegler avanzavano delle riserve nei confronti della monografia di Charles Asselineau (1820-1874), ora tradotta in italiano con il titolo Charles Baudelaire La vita, l’opera, il genio (Bietti, pp. 180, € 15,00), a cura di Massimo Carloni. Si tratta di una biografia sui generis, con intenti manifestamente apologetici, scritta da uno degli amici più cari di Baudelaire, compagno di liceo di Nadar. Asselineau curò, insieme a Théodore de Banville, il progetto originario delle Œuvres complètes nel 1869. Nello stesso anno licenziò questa biografia critica per i tipi di Alphonse Lemerre, poco dopo la scomparsa del poeta, avvenuta nel 1867. Bibliofilo e narratore, autore di racconti fantastici come La double vie (1858), L’enfer du bibliophile (1860), Le paradis des gens des lettres (1862), nonché di uno studio sulla letteratura romantica, Asselineau dedicò gran parte della propria esistenza al culto dell’amico e, se non altro, gli va dato atto di essersi sempre comportato in maniera ineccepibile nei suoi confronti, aiutandolo nei non rari momenti di difficoltà. Più strutturata rispetto a quella di Nadar, la monografia di Asselineau ripercorre le vicende travagliate del suo sodale: dagli esordi all’infatuazione per l’opera di Poe, dalla pubblicazione delle Fleurs du mal al relativo processo per oltraggio al pudore, dall’esilio volontario a Bruxelles alla malattia che lo porterà precocemente alla morte. In pochi ma pregnanti capitoli Asselineau passa in rassegna gli avvenimenti principali dell’esistenza baudelairiana, senza indugiare intorno a certi rapporti, come quello con Jeanne Duval che viene a malapena citata, e soffermandosi invece sugli esiti più propriamente letterari. D’altronde lo stesso Asselineau aveva precisato: «In questa biografia di uno Spirito, non mi lascerò trascinare nelle sabbie mobili dell’aneddoto e del pettegolezzo».
Aneddoti sul poeta
Tale compito viene svolto dai Baudelairiana, raccolta di aneddoti sul poeta, presente nell’appendice, che riporta anche il discorso pronunciato da Asselineau alle esequie del poeta, oltre a una serie di lettere, tra cui quella celeberrima del 13 marzo 1856, in cui Baudelaire trascrive un suo sogno erotico, investigata da Butor nella sua Histoire extraordinaire. La biografia di Asselineau, nonostante lo schematismo e la mancanza di una visione d’insieme esauriente, offre se non altro il vantaggio di rappresentare una delle poche testimonianze di prima mano sull’esistenza controversa di Baudelaire. La «religione della forma», di cui parla Asselineau, trova nell’opera frastagliata di Baudelaire uno dei suoi capisaldi. All’insegna del perfezionismo vanno interpretati alcuni episodi, come quello relativo alla versione del Gordon Pym di Poe, quando il poeta sbotta di fronte alle rimostranze di Asselineau perché si serve di una mappa: «Non capite che ogni cosa che scrivo dev’essere impeccabile e non devo dare più adito alla censura d’un marinaio che alla critica d’un letterato?». Eh, si usava così, allora…