Se avete amato il cagnolino tutto rattoppato di Frankenweenie nato dalla fantasia gotica di Tim Burton, non potete non innamorarvi di Testacucita, minuscolo essere non più alto di una scimmietta, ragazzino costruito in laboratorio dallo scienziato pazzo Erasmus con gli avanzi di altre creature. Un bimbo alieno, figlio dell’epoca del riciclo.

Uscito dalla penna dello scrittore inglese Guy Bass (presente al Salone di Torino) e disegnato dall’illustratore Pete Williamson, è stato portato in Italia da Rizzoli, (pp.190, euro 9,90). Non si vede molto in giro: vive segregato al buio, negli anfratti del Castello Spavento ma ha dalla sua un talento speciale. Prepara miscugli portentosi che cambiano i caratteri dei mostri e li inducono a essere meno terrificanti – come la pozione Lupo sciò contro il licantropismo o quella che placa la sete di sangue degli «umanovori».
Nonostante ciò, Testacucita è oppresso da un dolore antico che lo porta a evaporare, a comportarsi come fosse un ghost: dopo un’esistenza in compagnia del suo creatore, colma di giochi e allegria, è stato abbandonato a se stesso. Dimenticato nella polvere. Ormai orfano, questo dickensiano bimbetto non può che ricordare i tempi migliori, con una lacrima che luccica nel suo occhio azzurro spalancato. Ma la sua vita sta per prendere una direzione inaspettata…
A lui si affeziona, procurandogli non pochi problemi, la Creatura («sei il mio migliorissimo amico», strepita inseguendolo), prodigio dalle dimensioni gigantesche e fauci enormi, incapace di fare del male grazie alle medicine magiche del folletto «fatto a punto e croce», ingurgitate inconsapevolmente.

Le «spine» sono però tutte fuori dal Castello Spavento. Pur se apparentemente non è popolato di orribili e deformi bestie, il mondo è attanagliato dall’avidità. L’impresario di circo Trovamostri annusa l’odore dei soldi. Fa sognare la libertà a Testacucita, lo usa per intrufolarsi all’interno del cupo maniero e tenta di trasformare gli esperimenti dello scienziato in una fabbrica di freaks seriali, macchine perfette per domare la sete di eccentricità (e disgrazie altrui) del popolo.

Testacucita, dopo l’iniziale delusione, avrà la meglio, farà amicizia anche con l’umanissima e parolacciuta bambina Arabella e scoprirà di non essere più solo. Inferociti e assetati di vendetta rimarranno solo gli abitanti del paese che circonda il Castello, loro quindi i veri «mostri» da cui tenere lontani i bambini.

Metafora dell’angoscia pre-adolescenziale, dell’isolamento e il senso di esclusione che si è costretti a scontare dovendo riconoscersi in un corpo «diverso», il libro di Bass – autore pluripremiato per Dinkin Dings: And The Frightening Things – con ironia affilata svolazza su temi scottanti quali l’integrazione, l’accettazione di sé, l’individualismo sfrenato. Il tutto con leggerezza estrema e con alcuni flashback «illustri» a corredare il testo: da Frankenstein a Oliver Twist, passando per quei disegni così permeati di immaginario dark e occhi fuori dalle orbite da rendere Testacucita l’unico fratello di latte del Victor di Burton.