L’Italia piange per una nuova ferita che qualcuno ha osato attribuire al «maltempo» nascondendosi ancora una volta di fronte alle proprie responsabilità. Ma il mondo piange molte ferite, come in Pakistan dove una serie di piogge monsoniche mai viste per intensità e durata stanno mettendo a dura prova dieci milioni di persone con distruzioni materiali e inevitabile diffusione di malattie e carestie.

NON VOLTIAMOCI DA UN ALTRO LATO pensando di essere esenti. Non lo siamo. Abbiamo bisogno di mettere in campo ogni energia che prenda atto del disastro di cui siamo responsabili e, per una volta, che ci veda lanciare il cuore oltre l’ostacolo, affrontare il problema alla base e assumere decisioni e iniziative che, se anche impopolari, saranno l’unico motivo per cui i nostri figli e nipoti ci potranno ringraziare.

QUESTE AZIONI COINVOLGONO certamente il modello di consumo che dobbiamo modificare ma è inevitabile che un circolo virtuoso coinvolga in primis il modello di produzione. Di questi approfondimenti ne è piena in questi giorni Terra Madre Salone del Gusto a Torino, Parco Dora, con un tema trasversale che è la rigenerazione. Ambientale, sociale, culturale, politica ma certamente agronomica. Decenni di agricoltura industriale stanno sfinendo i nostri suoli in tutto il mondo. Le monocolture tolgono il respiro in Sudamerica, come in molti paesi africani, spesso perpetrate da multinazionali che non hanno certo a cuore la resilienza delle aree rurali, e sono causa di una progressiva perdita di fertilità dei suoli che oggi dobbiamo chiamare con il suo nome, cioè desertificazione. Le deforestazioni opprimono i popoli indigeni dell’Amazzonia e del Borneo a favore di modelli agricoli industriali che sfruttano le risorse naturali per un allevamento intensivo destinato perlopiù a un’esportazione di massa verso paesi più industrializzati.

NELLE AREE DEFORESTATE SI PRODUCE gran parte di ciò che è poi usato negli allevamenti intensivi per sfamare il bestiame, per continuare a mantenere un modello iperproduttivo che non è amico della salute dell’uomo e dell’ambiente. Eppure, è amico del profitto a ogni costo e questo basta perché le politiche internazionali continuino a supportarne l’esistenza. Gli allevamenti industriali producono scarti che diventeranno fanghi e che verranno sversati nei suoli, con il presupposto che siano concimi ma con la certezza che rilasciano una quantità di metalli che sta asfissiando i suoli. Invece di guardare alle nature based solutions, cioè invece di farci aiutare dalla natura a risolvere le criticità, si continua a guardare alla chimica di sintesi, all’uso di fertilizzanti e fitofarmaci per nascondere gli effetti devastanti della perdita di biodiversità, di insetti utili, di microrganismi che nel suolo creano la fertilità.

OPPURE SI CONTINUA A GUARDARE alla tecnologia sempre più spinta, quella che vuole anche modificare geneticamente le varietà per andare incontro a ogni singolo desiderio del mondo produttivo. Vogliamo modificare geneticamente le varietà a piacimento senza renderci conto che rischiamo di perdere tutta la nostra biodiversità e di consegnare in mano ai produttori varietà instabili e insicure oltre che di dubbio adattamento. Il tutto sempre con l’obiettivo di voltarsi dall’altra parte, di non volere affrontare il problema per quello che è effettivamente, di non voler accettare che l’unica strada è quel cambiamento che può forse impedire che il genere umano vada verso il baratro. Perché tutte queste condizioni critiche sono legate da un unico filo rosso: l’impoverimento delle aree rurali, la perdita di sovranità e sicurezza alimentare delle popolazioni locali, la desertificazione dei suoli di tutto un intero pianeta con una rapidità spaventosa.

MIGLIAIA DI DELEGATI DISCUTONO di questo a Terra Madre, parlano della necessità di una via di rigenerazione dalla quale non si può prescindere in ogni angolo del pianeta. Parlano di opposizione agli Ogm, vecchi o nuovi, parlano di legame con la terra e di come rigenerare un rapporto equilibrato con le risorse naturali, con la biodiversità, con gli ecosistemi naturali che gli agricoltori e gli allevatori hanno trasformato in aree rurali per la produzione di cibo.

DECENNI DI CONFRONTI NEL MONDO di Terra Madre ci hanno confermato che il pianeta va guardato senza confini politici perché la crisi climatica e la perdita di sicurezza alimentare non si ferma di fronte a una bandiera. Il land grabbing, quello sfruttamento delle terre finalizzato esclusivamente ad accrescere il proprio profitto, è diffuso ovunque nel pianeta e si basa su un unico approccio, il modello industriale. Questa consapevolezza ci impone di rafforzare politiche di rigenerazione che restituiscano la possibilità di coltivare i suoli attraverso la biodiversità, il rispetto della vocazionalità ambientale, una relazione rispettosa di ecosistemi e risorse naturali.

IN OGNI PARTE DEL MONDO, l’agroecologia deve rappresentare un modello di relazione con l’ambiente, un coerente strumento di vera transizione ecologica che fonda i suoi principi su una diversa prospettiva rispetto a quella dei sistemi agricoli intensivi, mettendo al centro l’equilibrio di tutti gli ecosistemi. È un approccio sistemico alla produzione agricola, l’uomo svolge la sua parte ma non è al centro del modello e restituisce alla natura una centralità che è garanzia di futuro per il pianeta.

ESISTONO MODELLI DI AGROECOLOGIA solidamente condotti in diverse parti del mondo e tra questi bisogna costruire quella rete virtuosa in grado di dare una spinta alla rigenerazione del mondo produttivo. C’è una copiosa letteratura scientifica che dimostra che il modello agroecologico è l’unico in grado di rappresentare uno strumento di resilienza nelle aree rurali attraversate da criticità climatiche. In Europa lo ammette anche la Farm to Fork della Commissione europea anche se quotidianamente leggiamo di chi attacca questa presa di coscienza ponendo al centro il modello produttivistico. Chi discute dei sistemi globali del cibo deve comprendere che la natura sarà amica dell’uomo finché l’uomo riuscirà a vivere in equilibrio, senza eccessi e senza dominazioni.