«Il sé comico è il miglior libro che non abbiamo mai scritto»: realizzando un esperimento di scrittura a quattro mani, Timothy Campbell e Grant Farred muovono dalla ricerca di Foucault degli anni Ottanta sull’antichità greca e romana per addentrarsi in un terreno scosceso e mai esplorato dal filosofo francese, quello relativo al legame tra la cura di sé e il possesso. Non è del resto un caso che l’indagine sull’età dell’oro della culture du soi sia stata spesso fraintesa e nel migliore dei casi accusata, persino da Pierre Hadot, di estetismo.

Nella attualità di un confronto che porta Campbell e Farrell a illuminare il gesto con cui il neoliberismo «si appropria dell’individuo, nel momento in cui quest’ultimo entra in relazione di possesso con il sé, come se fosse una sua proprietà», Il sé comico Ovvero la liberazione del sé (tradotto da Daniele Garritano per Quodlibet Studio, pp. 160, € 18,00) ci invita a ripensare la pragmatica foucaultiana per usarla come un’arma contro l’istanza della proprietà: scardinando il legame tra io e mio, revocando il possesso di sé e degli altri, e apprendendo l’arte complessa della «auto-espropriazione», senza la quale «la cura non serve, almeno nelle circostanze in cui ci troviamo. Non ne abbiamo bisogno, perché consolida la tirannia del possesso».

Ciò di cui abbiamo invece bisogno è pensare una figura spesso invisibile o discontinua, innominata e tuttavia presente in alcuni luoghi filosofici o letterari – la morte di Socrate, il riso di Bergson, – la ripetizione di Deleuze, il discorso del Marco Antonio shakespeariano, la derisione di Sancio Panza: è il sé comico, che ride del fallace auto-possesso pur essendo dotato del gusto di possedere e quindi sempre fatalmente sottoposto a tentazioni e cadute. Non si può in effetti immaginare un destino diverso per questa figura capace di minare i discorsi identitari e di operare atti di espropriazione, eppure instabile poiché legata dialetticamente alla figura del sé tragico.

Tragico è infatti il sé di Cartesio come quello di Don Chisciotte, che si definisce confondendo l’identità con la proprietà e, come dimostra la nostra esperienza politica quotidiana, si riduce in fondo a una merce impedendoci di «abbracciare una vita essenzialmente etica». Comico è il sé che abbracciando la vita etica e, potremmo aggiungere, essenzialmente filosofica, fa deflagrare persino la relazione tra l’io e il pensiero, accettando che «i pensieri accadono all’io» perché non sono una sua proprietà.

E comico è dunque questo tentativo di scrittura filosofica di Campbell e Farred, che audacemente ridono del «pensiero secondo cui siamo ciò che pensiamo» e ci consegnano un libro la cui originalità sta anche nell’esperimento di due autori che non si riconoscono nella «propria» scrittura, ma la consegnano all’altro perché laceri le sue aspettative come ha lacerato le loro.