Non accenna a spegnersi il focolaio di protesta che ha investito già dalla scorsa settimana Italpizza, azienda italiana leader nel settore delle pizze surgelate. Succede a Modena, dove l’impresa ha un sito industriale di oltre 20mila mq, e impiega attualmente circa 600 operai. Di questi solo un’esigua minoranza è alle dirette dipendenze di Italpizza, mentre la maggioranza è assunta dalle cooperative in appalto Evologica e Cofamo, che fanno da intermediari nel reclutamento della manodopera.

LE COOPERATIVE non avendo un unico settore industriale di riferimento possono assumere i lavoratori con un contratto generico «multiservizi e pulizie», risparmiando notevolmente sul costo del lavoro. Ma di fatto gli operai che impastano e preparano la pizza, avrebbero quindi diritto a un contratto da settore alimentare. Già dall’anno scorso queste anomalie erano state denunciate e i confederali erano in trattativa per ottenere il contratto alimentare.

UNA VENTINA DI LAVORATORI e lavoratrici Italpizza il mese scorso decidono di iscriversi a un sindacato di base, il Si Cobas. Non appena l’iscrizione viene comunicata all’azienda, prima sette, poi nove lavoratrici vengono sospese, in attesa, a quanto comunicato informalmente dalla cooperativa, di essere trasferite presso altri cantieri. A queste misure rimaste prive di motivazioni ufficiali il sindacato ha risposto con una prima indizione di sciopero, tre ore, al termine delle quale le parti sono state convocate per un incontro dalla prefettura. Dal tavolo però non si è giunti ad alcun compromesso.

«IL 6 DICEMBRE SIAMO TORNATI a bloccare i cancelli dell’azienda, in maniera del tutto pacifica, sedendoci anche per terra, la legge prevede che in questi casi la polizia possa intervenire solo rimuovendo uno a uno i manifestanti, invece ci hanno lanciato dei gas lacrimogeni Cs, seminando il panico tra i lavoratori impreparati a una situazione del genere, c’era una ragazza incinta, un ragazzo asmatico, non avevo mai visto una reazione cosi sproporzionata», racconta Karim Bekkal, Sicobas.

LA PROTESTA, da quel momento, non si è fermata. Nei giorni a seguire ci sono stati nuovi blocchi da parte di lavoratori, lavoratrici, sindacalisti e solidali e nuove cariche da parte delle forze dell’ordine. Si chiede in primis il reintegro delle nove lavoratrici sospese in attesa di trasferimento, ma i contenuti della mobilitazione parlano anche delle condizioni di lavoro dentro l’azienda. Gli operai di Italpizza lamentano non solo un contratto che non corrisponde alla mansione reale, ma l’obbligo a lavorare molte ore in più di quelle che appaiono in busta paga, i turni sfiancanti, il lavoro nei giorni festivi e le paghe basse.

VIENE DENUNCIATA una situazione di irregolarità e sfruttamento, già evidenziata rispetto ad altre aziende della regione, come la lunga vertenza Castelfrigo del settore carni o i magazzini della logistica. Tutti ambiti in cui c’è una netta prevalenza di manodopera migrante.
«La cooperativa non vuole ritirare i nove trasferimenti anche per spaventare gli altri lavoratori, per evitare che si esprimano sulle reali condizioni di sfruttamento che vivono. Rischiano però di ottenere l’effetto opposto. Negli ultimi giorni siamo passati da 20 a 100 iscritti al sindacato», dice ancora Karim, del Si cobas.

OGGI È PREVISTO UN INCONTRO convocato dalla prefettura al quale sono state chiamate a partecipare tutte le parti in causa. «Speriamo che si apra un dialogo, altrimenti torneremo ai cancelli. Se non vengono reintegrate le lavoratrici da lunedì lanceremo una campagna nazionale di boicottaggio del marchio Italpizza».