L’approccio all’Asia del presidente uscente Usa Trump ha cambiato le relazioni diplomatiche nate per arginare l’ascesa economica, tecnologica e militare di Pechino.

Il neo eletto Joe Biden è così costretto a rinegoziare una politica più inclusiva con gli storici alleati in Asia, ma anche affermare i valori democratici sostenuti in campagna elettorale.
Mancano circa due mesi dall’insediamento di Biden alla Casa Bianca, ma la Chief Executive di Hong Kong Carrie Lam ha invitato il neo presidente a considerare un «ritorno alla normalità» delle relazioni bilaterali. Una richiesta che cela la condanna per le ripetute interferenze degli Usa negli affari della città. Lam giudica irragionevole la sospensione di alcuni accordi commerciali bilaterali imposta dall’amministrazione Trump, che ha portato all’equiparazione economica e politica dell’ex colonia britannica alla Cina.

Ma minimizza anche le sanzioni che la colpiscono direttamente, insieme ad altri 14 funzionari cinesi e di Hong Kong, accusati di reprimere le libertà tutelate dalla mini costituzione della città. Gli ultimi sviluppi nel parlamento dell’ex colonia britannica aprono nuovi interrogativi sulle future mosse di Washington. Con la risoluzione introdotta da Pechino, che permette di destituire i parlamentari di Hong Kong che violano la legge sulla sicurezza nazionale, è probabile che ulteriori sanzioni saranno imposte dagli Usa. D’altronde, le elezioni presidenziali sono state seguite con ansia dagli abitanti di Hong Kong, animati da un sentimento anticinese: molti speravano in un secondo mandato di Trump, considerato l’unico leader capace di imporsi con Pechino.

Anche molti cittadini di Taiwan erano schierati con il tycoon. Nei quattro anni della presidenza di Trump, ci sono state iniziative che hanno consentito un rafforzamento delle relazioni tra Washington e Taipei: le vendite di armi militari, le esercitazioni dei marines, l’apertura di un’ambasciata de facto e le visite di due alti funzionari Usa. Probabilmente le vendite di armamenti potrebbero rallentare con Biden, ma l’isola riceverebbe comunque il sostegno di Washington. Tsai ha accolto con favore la vittoria di Biden ed è stata una delle prime a congratularsi per la sua vittoria. A differenza di quanto accadde nel gennaio 2016 con Trump, Tsai non ha ancora avuto un colloquio telefonico con il futuro commander in chief.

Eppure il democratico ha sentito i leader dei Paesi alleati. Nella giornata di ieri Biden ha avuto una breve telefonata con il premier giapponese Suga, a cui ha ribadito l’impegno, assunto dall’ex presidente Obama nel 2014, a difendere militarmente il Giappone ai sensi dell’articolo V del trattato di sicurezza bilaterale. Una conferma che rassicura Tokyo sulla difesa delle isole Senkaku, l’atollo nel Mar cinese orientale rivendicato da Pechino con il nome di Diaoyu.

Per segnare un punto di svolta dalla linea di Trump, Biden difficilmente chiederà a Suga di pagare 8 miliardi di dollari all’anno per mantenere le 55 mila truppe americane. Il governo di Tokyo, invece, spera in un ritorno degli Usa nel Trans-Pacific Partnership, l’accordo di libero scambio firmato con più di dieci Paesi dell’area pacifica e asiatica e da cui Trump si è ritirato.

Infine il neo presidente ha avuto un colloquio con il suo omologo sudcoreano Moon Jae-In. L’inquilino della Casa Blu è stato rassicurato da Biden sulla volontà di perseguire la denuclearizzazione della Corea del Nord: il democratico non ha le ambizioni del tycoon di avere la «photo opportunity” con Kim Jong-un, ma è intenzionato ad adottare l’approccio della «pazienza strategica» con il leader nordcoreano, aumentando le sanzioni su Pyongyang.