Teho Teardo sperimentatore che non ama rinchiudersi nelle certezze ed è sempre pronto a rimettersi in gioco, è una bella sorpresa nell’asfittico ambito discografico che ama attribuire etichette ed è poco incline alle contaminazioni. Teardo è musicista a tutto tondo, partito dal punk con i Meathead e arrivato al cinema come autore di colonne sonore, partendo da La ragazza del lago di Molaioli, passando a Quo Vadis, baby? di Salvatores, Diaz di Daniele Vicari e da poco anche in Palazzina F, l’esordio alla regia di Michele Riondino.

Con Blixa Bargeld, fra i settanta e gli ottanta con i Einsturzende Neubauten ha scritto uno dei capitoli più importanti della scena industrial europea transitando poi per l’esperienza nei Bad Seeds di Nick Cave, il rapporto è consolidato da oltre quindici anni.

L’ultimo frutto di questa collaborazione è un album live registrato al Sonic Morgue di Berlino. Una sorta di ritorno a casa per il duo che ha fatto dell’asse Roma/Berlino una membrana continuamente attraversata da suoni e parole in italiano, tedesco e inglese.

Dal punk con i Meathead al grande schermo. Cosa ha rappresentato questo cambio di prospettiva e come è cambiato il metodo di lavoro?

Non credo di essermi mai accorto di essere passato da un ambito all’altro. A un certo punto mi sono ritrovato a lavorare con il cinema e ho continuato a fare quello che mi piaceva fare con la musica. Ovviamente ci sono in qualche modo delle tecniche diverse, in base ai formati che si vanno a utilizzare. Lo dice sempre Daniele Vicari: lavorare con il cinema e il teatro non richiede solamente competenze, ma anche di stabilire una relazione con un altro linguaggio e di non imporre della musica in modo arbitrario. Bisogna saper ascoltare anche con gli occhi, è un aspetto determinante. Fare musica è affrontare una barriera una dopo l’altra. Un giorno Morricone mi disse ‘ma lei sa scrivere una fuga?’ con quel tono simpatico ma anche un po’ inquisitorio. Io gli risposi, ‘guardi io vengo dal punk rock. Lei non ha idea di quante fughe ho dovuto fare nella mia vita…’

Il rapporto con Blixa è di lunga data…

Sono esattamente quindici anni, abbiamo iniziato nel 2008 in un progetto teatrale con la Societas Raffaele Sanzio che si intitolava Ingiuria. Dopo questo incontro a teatro abbiamo curato un brano per un altro film, Twilight, e gli ho chiesto di cantarla. Sono andato a San Francisco e lui mi ha proposto di collaborare a un album, così nel 2013 abbiamo inciso Still Smiling. Nel 2024 uscirà il terzo album, ci stiamo lavorando. Blixa ha un talento straordinario ed è un piacere avere a che fare con il suo universo e condividerlo con il mio.

«Live in Berlin», disco doppio sia in cd che in vinile, ferma un concerto tenuto per l’appunto a Berlino il 6 dicembre 2022.

Berlino era l’ultima data ma in realtà pensavamo da tempo di fare un disco dal vivo. Ed è la città di Blixa e dove scriviamo la nostra musica. Poi – una volta ascoltate le canzoni – eravamo molto contenti delle registrazioni e abbiamo pensato che potevano essere condivise.

Insieme siete stati impegnati nel 2009 su uno spettacolo teatrale, «Injuria» della Compagnia Raffaello Sanzio di Romeo Castellucci.

Come dicevo prima, avvicinarsi al teatro è un altro modo di pensare alla musica. Poi molto spesso in queste occasioni io suono dal vivo. Certo la musica per il teatro va pensata in un modo che sia adeguato a quello che è la scena. Ho lavorato tanto anche all’estero, in situazioni diverse, dove ad esempio non ero in scena a suonare. E però è un processo lungo che richiede molta presenza e una grande dedizione durante le prove. Situazioni che io continuo a trovare straordinariamente affascinanti. Ho collaborato e continuo a farlo con Edda Walsh, lui fra l’altro è co-autore di Lazarus di David Bowie che ha avuto successo in Inghilterra. E con noi ha recitato Cilian Murphy (Peaky Blinders, Oppenheimer), si è creata spesso una situazione quasi cameratesca e decisamente molto, molto piacevole.

Un altro progetto di queste settimane è la colonna sonora dell’esordio alla regia di Michele Riondino, Palazzina F, che ha curato insieme a Diodato.

Abbiamo cominciato a costruire la musica del film, soprattutto leggendo il testo. Poi Michele ha avuto un’intuizione perché voleva che mi rifacessi alle colonne sonore dei film di Fantozzi, effetto straniante ma devo dire che ha funzionato bene alla fine.

Questi sono purtroppo tempi di guerra, sconvolgimenti sociali e politici che hanno portato al governo una formazione politica di destra come mai avevamo visto dal dopoguerra. Cosa la spaventa di più di quanto sta succedendo in Italia?

Guarda la cosa che mi spaventa è rifare sempre gli stessi sbagli. Se bisogna sbagliare, mi verrebbe in mente quello che diceva Beckett: «sbaglia meglio, sbaglia di più, ma non fare sempre lo stesso sbaglio».

Ulltimamente è stato anche impegnato con Elio Germano, insieme avete realizzato due spettacoli: uno ispirato a«Il sogno di una cosa», il romanzo di Pasolini e poi «Il Paradiso» di Dante, una rappresentazione originale di recitazione, musica e installazione.

Il libro di Pasolini è quanto mai attuale perché racconta una storia importante: la rotta balcanica al contrario. Nel 1948 un gruppo di ragazzi di cui Pasolini scrive i veri nomi e cognomi nel libro percorre al contrario, pagando 6 mila lire a un passeur per andare da un’altra parte. E la rotta è la stessa che compiono i rifugiati che scappano dalla rotta balcanica e arrivano in Italia. Una gioventù delusa che diceva: qui da noi non c’è futuro andiamo in Jugoslavia che c’è il sogno del comunismo ci sarà un lavoro, avremo una vita decente o almeno proveremo ad assaporare un po’ di felicità. Era il 1948, stesse strade, stessa tecnica. Di notte scappano. Arrivano i poliziotti della Jugoslavia, li gonfiano di botte, esattamente come fanno adesso in Italia quelli che arrivano di qua. Il percorso è esattamente lo stesso. E io poi vengo da lì. Eh sì, ho visto arrivare le persone che scappavano all’inizio della guerra dei Balcani. Li abbiamo visti tutti; ci suonavano il campanello perché erano disperati, avevano fame e bisogno di mangiare. Noi stiamo rifacendo le stesse cose, gli stessi errori. Cambia poco che siamo in un verso o nell’altro. È un periodo di forte decadenza e di forte instabilità economica. Si guarda sempre alla figura forte e mai alla figura intelligente. La tensione, la paura e la sfiducia nei confronti del futuro non fanno propendere per scelte intelligenti, ma per scelte di forza. E come se diventassimo tutti un po’ più stupidi, secondo me perché abbiamo paura. Ed è per questo che la cultura è determinante in questo momento. Ma va ricordato – e lo dico da uomo di sinistra – che anche i governi precedenti hanno commesso errori marchiani, smantellando progressivamente dei settori fondamentali: la sanità, la cultura. E comunque entrambi gli schieramenti, destra e sinistra, hanno sempre fatto a fette la cultura in tutti i modi possibili. C’è sempre stato meno di tutto. E non è mica soltanto una questione italiana, ma succede in altri Paesi del mondo. Infatti questo problema cominciano ad averlo in tanti, anche in Germania. Servirebbe, come dire, una capacità di comprensione del presente, non dico del futuro. Ad esempio il compito degli artisti è quello di dire dove siamo.

Beh, da questo punto di vista gli artisti l’hanno sempre fatto, hanno sempre alzato la voce…

L’arte questo fa, dice dove siamo e ci serve per capire dove andremo. Ma non sono degli indovini, registrano i segnali che arrivano dalla quotidianità. E quando questo viene meno in un paese, quando la cultura scende sotto un livello tale, poi è probabile che il popolo si affidi a delle persone che urlano, che fanno la voce forte senza nemmeno avere delle idee. Perché dove sono le idee? Devo essere sincero: io ancora non le ho viste.