Trump ha deciso di iscrivere i pasdaran iraniani, le Guardie della Rivoluzione, nella lista americana delle organizzazioni terroristiche straniere.

I pasdaran saranno in buona compagnia, con gli Hezbollah libanesi e al-Qaeda. Poco importa che abbiamo contrastato sul terreno, in Iraq e in Siria, l’avanzata armata dell’Isis sostenuta da vari paesi tra cui la Turchia, l’Arabia Saudita e Israele. «L’Iran non solo è uno stato sponsor del terrorismo ma anche le Guardie della Rivoluzione partecipano attivamente, finanziano e promuovono il terrorismo come strumento per governare», ha scritto il presidente statunitense in una nota. E l’Iran risponde creando una black list americana.

LA DECISIONE DI TRUMP si iscrive nella politica di isolamento di Teheran motivata dalla necessità di compiacere sia le lobby israeliane sia i sauditi, che si apprestano a firmare contratti per acquisire tecnologia nucleare made in Usa. Guarda caso, la messa all’indice dei pasdaran viene annunciata proprio mentre i cittadini dello Stato ebraico si apprestano ad andare alle urne: un favore per il quale il premier Netanyahu ha già ringraziato. La decisione di Trump è però anche espressione del risentimento che le diverse amministrazioni americane covano nei confronti della Repubblica islamica da 40 anni, ovvero dalla presa degli ostaggi nell’ambasciata americana.

DOPO AVER GIROVAGATO per mesi tra l’Egitto, le Bahamas e il Messico, il 22 ottobre 1979 lo scià, malato terminale di cancro, era finalmente riuscito a entrare negli Usa. Qualche giorno dopo, il 4 novembre, un gruppo di studenti era entrato nel compound della sede diplomatica statunitense chiedendo che il sovrano fosse estradato e giudicato a Teheran per le violazioni dei diritti umani commesse durante il suo regno. Disarmati, gli studenti erano penetrati nella sede diplomatica senza essere fermati dai marines.

Gli ostaggi furono trattenuti per 444 giorni e a nulla valse l’operazione Black Hawk: a causa di una tempesta di sabbia e di guasti meccanici, alcuni elicotteri si sfracellarono nel deserto. Un’umiliazione che resta. Ora, a finire nel mirino del presidente Trump sono i pasdaran, la milizia al servizio del nuovo regime costituita con 4mila uomini il 5 maggio 1979 dall’Ayatollah Khomeini che non si fidava delle forze armate regolari. Per farne parte, requisito indispensabile è la lealtà assoluta al regime e al Leader Supremo, oltre ovviamente ad essere musulmani praticanti e ad avere una lettera di referenze delle autorità religiose del luogo di provenienza.

AD ESSERE AVVANTAGGIATI, sono coloro che hanno perso un famigliare nella guerra contro l’Iraq (1980-88). Secondo l’articolo 150 della Costituzione della Repubblica islamica, il loro obiettivo è «la protezione della rivoluzione e dei suoi risultati». Oggi, i pasdaran sono 150mila a cui si aggiungono i miliziani basiji. Rispondono direttamente alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, ma operano in maniera indipendente come forza militare regolare e rivestono ruoli importanti in politica: sono deputati, governatori, ministri. Il loro ruolo economico va dall’energia alle tlc, fino all’automotive: i pasdaran sono gli interlocutori di imprese europee che ora rischiano di finire fuorilegge agli occhi americani.

Per i pasdaran, poco conta essere considerati terroristi: di certo non trascorrono le vacanze negli Usa. A preoccuparsi della decisione di Trump devono invece essere le imprese europee, che avranno maggiori difficoltà a lavorare con l’Iran nonostante la creazione del veicolo speciale Instex per far fronte alle difficoltà nei pagamenti.