Ospite del prossimo Tehran Book Fair 2017, che si terrà nella capitale iraniana in maggio, l’Italia suggella sempre di più il suo legame con la letteratura persiana contemporanea. Già nella primavera del 2008, Felicetta Ferraro e Bianca Maria Filippini avviavano un progetto editoriale, Ponte 33 – che prende il nome dal ponte con trentatré arcate di Isfahan – impegnato a far conoscere la letteratura proveniente da Iran, Afghanistan, Tagikistan ecc. All’inizio del 2017, poi, Brioschi Editore ha lanciato una nuova collana, «Gli Altri», dedicata interamente alla letteratura iraniana contemporanea.

I primi due romanzi, pubblicati dalla casa editrice e che verranno presentati alla fiera dell’editoria di Milano, Tempo di libri, sono di due scrittrici: Fattaneh Haj Seyed Javad (La scelta di Sudabeh) e Tahereh Alavi (Nelle stanze della soffitta). In Iran, infatti, sono oltre un centinaio le autrici che hanno scritto almeno un romanzo; buona parte dell’editoria si basa su produzioni femminili.

Spesso, queste sono concepite per compiacere il lettore occidentale, come spiega l’iranista Anna Vanzan, ospite a Tempo di Libri domani, al caffè Garamond, ore 15.30.

C`è una sorta di retaggio orientalista nell’interesse del pubblico europeo per l’Iran e la sua cultura?
Forse in qualcuno permane ancora, ma direi che – sostanzialmente – l’interesse per l’Iran scaturisce dalla sua nuova posizione internazionale e dal fatto che, con la chiusura di molte mete turistiche nell’area mediorientale, come ad esempio la Siria, è diventato più appetibile per i turisti.

Cosa distingue la letteratura prodotta da autrici iraniane da quelle di altri paesi?
Se si riferisce a tutte le letterature internazionali è difficile fare un paragone. Se invece il confronto è con le letterature dell’area mediorientale, direi che vi sono molti punti di contatto: dall’impegno sociale alla ricerca di nuove tecniche narrative.

Quanto la preponderanza di scrittrici può influenzare la scelta dei temi?
Sicuramente è determinante. Ma non dobbiamo pensare che si tratti di una letteratura di «donne che scrivono su o per le donne». Moltissime, ad esempio, scrivono solo letteratura per l’infanzia e/o per ragazzi e trattano temi relativi all’ecologia, alla pace, alla giustizia etc.

Molti romanzi iraniani arrivati in Italia sembrano accrescere una visione del Paese stereotipata: sottomissione e censura. Come si distinguono dalla buona letteratura che racconta una verità inedita?
I testi che offrono una versione stereotipata sono per lo più quelli prodotti in diaspora, in francese, inglese, tedesco, italiano, o tradotti e pubblicati direttamente all’estero e sono diretti a un pubblico occidentale che cerca la nuova Lolita che si legge a Teheran.

È un chiaro riferimento ad Azar Nafisi che, come alcune delle penne più autorevoli del Paese, ha trovato il proprio successo raccontando l’Iran lontano dall’Iran. Cosa ne pensa?
Sono molto critica nei riguardi di Nafisi &Co. Credo che abbiano nuociuto molto alla letteratura persiana. Ancora adesso, gli editori internazionali cercano un altro caso scandalistico da trasformare in best seller come Leggere Lolita a Teheran; in questi anni, c’è stata una proliferazione di testi analoghi, pseudo memoriali che sono uno la copia dell’altro. Per fortuna, esistono editori illuminati, soprattutto i piccoli e medi che cercano la letteratura di spessore.

Ponte 33 e Brioschi Editore, per esempio?
Entrambi gli editori da lei menzionati sono colti e sensibili. Curano le loro scelte proponendo letteratura di qualità per lettori stanchi di cliché e neo orientalismi. Conoscendo tanto il punto di partenza – la produzione persiana – quanto il mercato italiano, possono individuare autori e autrici che aiutino i lettori italiani ad apprezzare la tradizione letteraria persiana.

Nonostante questo impegno, ci sono opere di scrittrici iraniane importanti ancora mai tradotte in italiano o, se tradotte, quasi sconosciute. Perché?
Gli editori maggiormente impegnati sul fronte della traduzione della buona letteratura sono quelli piccoli/medi che, spesso, hanno poi difficoltà nella distribuzione e nella pubblicità. Per quanto riguarda i capolavori sconosciuti, la letteratura persiana non è l’unica ad avere questo problema, basti pensare che sovente, quando la commissione del Nobel premia un autore, anche i lettori più accaniti non l’hanno mai sentito nominare in quanto le sue opere non sono mai state tradotte in italiano.

Nonostante i passi avanti compiuti, esiste ancora una censura molto stringente. Penso a personaggi come il regista Jafar Panahi o al Nobel per la pace Shirin Ebadi. La letteratura, o il cinema, sono una via di fuga?
L’arte è comunque consolatoria, ma cinema e letteratura sono anche vere e proprie professioni; in Iran – come altrove – gli artisti iraniani sono abili nel produrre prodotti di qualità, aggirando veti e imposizioni.