Drammaturgo, regista, interprete, il franco uruguaiano Sergio Blanco, rivelatosi a Vie Festival con El bramido de Dusseldorf, arriva a Firenze, al teatro di Rifredi. Che, primo in Italia, produce uno dei suoi lavori più noti, Tebas Land. Folgorante esempio di quella che definisce «autofinzione», slittamento di frequenze biografiche che si intrecciano con la cronaca, la storia, il mito, Tebas Land ha debuttato nella versione di Angelo Savelli (sue traduzione, scena, regia), protagonisti Ciro Masella e Samuele Picchi, che lo stesso Blanco, ospite a Rifredi, ha riconosciuto come: «La più riuscita di quante finora viste in giro per il mondo». Blanco sposa una certa idea di situazionismo concertante: «La mia arte è una finzione reale, non è la mia vita ma non è una menzogna». Siamo nel bel mezzo della più squisita teatralità. Ossia quella sottile linea che separa la veridicità di una storia dalla verosimiglianza della messinscena. Sfuggente e disturbante, Blanco crea un fatto possibile di cronaca giudiziaria (un parricidio) in relazione con l’impossibilità, da parte dell’autore regista, di restituirla vera sul palcoscenico.

IN QUESTA, più che Tebas land, No man’s land, l’autore cerca il suo personaggio. Lo trova in prigione, nel recinto di un campetto di basket, e come il Truman Capote di A sangue freddo mischia distanza e empatia, complicità e reticenza, determinazione e fatalità. Il montaggio di Savelli è rapido, spregiudicata la recitazione di Masella (il drammaturgo), calzante quella di Picchi (il parricida e l’attore che dovrebbe interpretarlo). Tebas Land si rimette in gioco, muove all’attacco e retrocede in difesa. Le insidie sono tante. Difficile dire «quando si comincia a scrivere realmente un testo», ancora più difficile rubricare «quando si comincia a commettere realmente un parricidio». Fino al 27 ottobre.