Fino a pochissimi mesi fa, la linea tramviaria 8 si schiantava a Roma, ogni tre/cinque minuti, per poi ripartire in direzione opposta, lungo l’edificio del teatro Argentina (l’8 è per altro una delle poche certezze della mobilità romana, nata con Rutelli che la lasciò a metà senza farla arrivare alla stazione; oggi si spinge fin sotto la tastiera marmorea del Vittoriano e il colle del Campidoglio).

A Parigi, e non certo per sciovinismo francese, un regista italiano da molti anni residente colà, è andato volontariamente ad incagliarsi con l’auto sulle ferree cancellate dell’Eliseo, il palazzo presidenziale. Non per una improvvisa vocazione kamikaze di Attilio Maggiulli, ma per volontaria eclatante protesta dell’artista contro i tagli finanziari decisi dal governo alla Comedie Italienne di cui è direttore e fondatore, specializzata in spettacoli con temi e modalità da commedia dell’arte, a citare l’antica Comédie des Italiens dove gli attori italiani allietavano e facevano fortuna prima dei tempi di Molière. Il fatto, oltre all’infelicità di Maggiulli, fa trasparire un cambiamento epocale nella politica culturale d’Oltralpe, dove il teatro ha un pubblico, un’adesione e un retroterra (e finanziamenti, ça va sans dire) infinitamente più ragguardevoli che da noi. Se non altro perché Molière, Racine, Corneille e soci si studiano a scuola.

Ma quel fatto ci mostra anche, con un ribaltamento di immagine, l’allontanarsi dell’8 dall’Argentina verso il Campidoglio. Per la quarta volta in un mese, comune e regione hanno rinviato, sine die, la nomina dei nuovi responsabili dello stabile romano. Più che una lecita inesperienza, sembra ormai uno scatenato gioco di potere e baratti che non fa mettere d’accordo Zingaretti e Marino, con le loro assessore Ravera e Barca. Nomi ne girano a raffica nel tritacarne mediatico (vi è finito a sua insaputa anche chi scrive), nonostante Ninni Cutaia sia un candidato alla direzione forte e ben accetto da tutti.

Il teatro, invece di trasformarsi in uno dei pochi «nazionali» in virtù del progetto del ministro Bray, rischia la chiusura oltre che la bancarotta, i lavoratori sono molto preoccupati, e i residui spettatori anche. Ridendo per non piangere, verrebbe da pensare che qualcuno ha in mente di nominare Anna Magnani sulla sua mitica Carrozza d’oro.