Il National Film Archive of Japan di Tokyo da ottobre sta dedicando una sezione del suo programma alle registe giapponesi che si sono distinte nel secolo scorso, da Kinuyo Tanaka, attrice e regista fra le più note, alla documentarista Tokieda Toshie, alla ribelle Hamano Sachi, autrice che ha fatto la sua fortuna nel genere pink eiga, il softcore che si impose nell’industria nel Sol Levante a partire dagli anni ’60 e ’70. Naturalmente le registe che si sono distinte negli anni sono numerose, soprattutto nel periodo più recente: da Sumiko Haneda, una delle autrici di non-fiction, donna o uomo che sia, più importanti dell’arcipelago, fin dai primi anni’50 ed ancora attiva oggi, alla più nota Naomi Kawase fino alle nuove leve come Mipo O, Mika Ninagawa, Natsuka Kusano, Kaori Oda o Miwa Nishikawa.

Tutte queste e registe devono, in un modo o nell’altro, qualcosa al percorso iniziato da Tazuko Sakane, che da sola, agli inizi del secolo scorso, ha saputo districarsi in un mondo, quello del cinema giapponese dell’epoca, ma che continua ad essere ancora oggi, fortemente maschilista, riflesso del resto della società. Sakane è stata infatti la prima regista dell’arcipelago, autrice di un solo film di finzione, e tale rimase fino al 1953 quando venne raggiunta dalla ben più nota Kinuyo Tanaka.

Come i suoi colleghi uomini, Sakane, nata nel 1904, prima di passare dietro la macchina da presa, dovette fare la gavetta, occupando tutte le posizioni della macchina cinema: da montatrice a sceneggiatrice, fino ad essere promossa aiuto regista. Proprio il suo lavoro come aiuto regista è forse quello per cui è più famosa ancora oggi: fu infatti collaboratrice di Kenji Mizoguchi per molti dei suoi film. Ricordiamo almeno Elegia di Osaka e Le sorelle del Gion, entrambi del 1936, e L’abisso dell’amore e dell’odio dell’anno successivo. Le vicende della sua vita personale ne fanno un esempio di libertà e determinazione ancora oggi. Dopo essersi sposata, matrimonio combinato come era d’uso, divorziò presto ed invece di cercare di risposarsi, cosa abbastanza normale per le donne dell’alta borghesia del tempo, Sakane decise di trovarsi un lavoro nel mondo del cinema, arte che amava fin quando da piccola con i genitori era solita visitare le sale della zona.

Un altro avvenimento che molto ci dice della sua intraprendenza è il fatto che per potersi muovere più liberamente sul set, decise di abbandonare il kimono ed indossare giacca e pantaloni, adottando un taglio di capelli corto. Questo, sostengono alcuni studiosi, anche per poter amalgamarsi meglio in un ambiente maschile, ma anche forse per dar espressione della sua sessualità, sembra infatti che fosse lesbica.

Il primo film che realizzò, dopo un tentativo andato a vuoto a causa dell’opposizione di molti esponenti del settore, fu Hatsu sugata (I nuovi vestiti) nel 1936 . Non era esattamente il progetto che lei voleva e la pellicola non solo fu pubblicizzata con storie scandalistiche relative a Sakane ed il suo divorzio, ma una volta nelle sale fu mal accolta: la critica non era ancora pronta per il lavoro di una donna. Dopo un periodo in Manciuria, nella Cina occupata, in cui diresse alcuni documentari, alla fine della guerra ritornò in patria dove non le fu data occasione di ritornare dietro la macchina da presa e continuò a lavorare come aiuto regista per Mizoguchi e a scrivere sceneggiature fino alla morte avvenuta nel 1971.

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