Tanti voti per nulla. Nessun cambiamento, con il calcio italiano che rischia di non riemergere dalle sabbie mobili che sembra essersi creato su misura. Come ampiamente previsto negli ultimi giorni, Carlo Tavecchio resta al vertice della federcalcio, conferma ottenuta alla terza conta, nelle prime due non era stato raggiunto il quorum. Respinto con perdite l’avversario, il presidente della lega di B Andrea Abodi, che pure gode di molta stima grazie al suo lavoro di rilancio della serie B. Ha vinto il sistema, ha vinto il potere. Ha vinto la Serie A che si è «stretta» al presidente, intorno ai suoi interessi consolidati. Hanno perso quelle forze, come l’associazione calciatori e allenatori che hanno preferito dividersi, anziché procedere compatte per cercare almeno di influenzare il voto.

Aveva promesso cambiamenti Tavecchio, una vera e propria inversione del sistema. Mettendo mano – anche se la parola decisiva in questi ambiti spetta al legislatore e alla Lega calcio – ai due temi che stanno rovinando il calcio italiano: la riforma dei campionato, non solo di Serie A ma dei tornei professionistici e una legge credibile sugli stadi. Che sono fatiscenti, ormai fuori uso. E spesso vuoti, per carenza di infrastrutture, per scarsa qualità delle partite. Ma ci sarà da affrontare – se non è stato affrontato con forza durante il suo primo mandato, perché dovrebbe farlo ora che ha vinto con l’appoggio delle big? – anche la questione della revisione dei criteri per la cessione dei diritti televisivi.

L’eccessiva differenza tra quanto incassa la Juventus o il Palermo riflette la condizione del calcio italiano che tutela sempre gli stessi attori. Abodi, per esempio, aveva aperto, in caso di elezione, a un modello che dividesse la torta in due parti, applicato in Inghilterra: il 50% dei fondi complessivi suddivisi in parti uguali tra le 20 di A, il resto in base a risultati sportivi, tifo, bacino d’utenza dei club. Con Tavecchio, la forbice tra grandi e medio-piccole (che pure hanno sostenuto il presidente, sicuro dei voti della lega nazionale dilettanti, il 34% dei voti complessivi) rischia di ampliarsi.

Sul format della Serie A a 18 squadre, settimane fa era Tavecchio a spingere, per mortificare meno il livello di un campionato che quest’anno per esempio disegna lo scenario delle tre retrocesse da tempo (Palermo, Cronte, Pescara), consentendo all’Empoli, quart’ultimo, di vendere nel mercato invernale il suo miglior calciatore, Saponara, con in tasca la certezza della permanenza in A. Nulla da fare, il progetto della riduzione a 18 squadre della A è scomparso perfino nel discorso elettorale pronunciato ieri prima del voto da Tavecchio.

Avrebbe perduto l’appoggio delle medio-piccole che con il format a 20 squadre si vedono garantiti soldi dei diritti tv e un corposo paracadute economico, in caso di retrocessione in B. Soldi (tanti) che hanno indotto perfino la Juventus, prima assolutamente contraria alla sua riconferma, a sostenere Tavecchio, che «promette» un quadriennio di riforme che mai vedranno luce.