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Tav, Salvini rompe la tregua: «Va fatta, sì al referendum»

Tav, Salvini rompe la tregua: «Va fatta, sì al referendum»La spiegazione della posizione Sì Tav durante una manifestazione contraria all'opera

Buchi nella Maggioranza Il leader leghista si rimangia la mozione votata alla camera e appoggia la consultazione lanciata da Chiamparino in Piemonte. M5s spiazzato, Toninelli: la Torino-Lione è sospesa, non bloccata

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 23 febbraio 2019

Salvini sterza, torna a schierarsi per la Tav come se la mozione parlamentare votata meno di 24 ore prima neppure esistesse. Risponde a stretto giro al richiamo del governatore piemontese Chiamparino, che martedì intende avviare il percorso che dovrebbe portare a un referendum piemontese sulla tratta ad alta velocità. Ieri ha scritto al presidente del consiglio Nino Boeti chiedendo di poter fare martedì stesso «comunicazioni» in merito, «al fine di verificare la possibilità di indire una consultazione popolare». La risposta del vicepremier è netta: «Ai referendum siamo sempre e comunque favorevoli».

Matteo Salvini

SIGNIFICA STRACCIARE la mozione appena votata, ma tra le imminenti elezioni in Sardegna e le «minacce» rivolte al medesimo Salvini il particolare si perde e concede una boccata d’ossigeno ai soci di maggioranza. Ma durerà poco. In realtà una scritta come quella comparsa ieri sui muri di Parma con l’invito a prendere di mira Matteo Salvini, pur se truculenta e spiacevole, non è precisamente una minaccia incombente. La Lega, seguita a ruota un po’ da tutti, coglie comunque l’occasione per farsi un po’ di preziosa propaganda pre-elettorale, con il leader che si dice «indignato per l’istigazione alla violenza», assicura di «non aver paura» e reclama «condanna unanime» venendo prontamente accontentato.

L’IMPROVVIDA E DEMENZIALE scritta, però non è utile solo per raggranellare una manciata di propaganda in più prima di un voto come quello sardo, dal quale il Carroccio si aspetta molto. Aiuta anche a sviare l’attenzione dall’ennesimo incidente tra i soci della maggioranza sul principale nodo nevralgico. Giovedì, dopo il voto alla Camera su una mozione parlamentare fatta apposta per non chiudere la partita permettendo a entrambe le fazioni di tirare la coperta dalla propria parte, Salvini e Di Maio avevano concordato la tregua: una settimana, meglio se qualcosa in più, di silenzio per far passare la mareggiata che arriverà con i risultati del voto nell’isola e per cercare una scappatoia, ammesso che sia possibile, capace di chiudere la vicenda senza far perdere troppo la faccia e i consensi all’uno o all’altro.

I 5S SI SONO ATTENUTI all’accordo anche ieri. Toninelli difende il punto però si sforza di abbassare i toni: «La Tav non è bloccata. È solo sospesa per capire se quei miliardi possono essere spesi meglio. Non dico che sia un’opera inutile ma solo che non è una priorità». Salvini non ce l’ha fatta. Troppo impetuoso l’impatto della vera e propria rivolta del «nord produttivo» che ha dovuto fronteggiare nella notte tra giovedì e venerdì. La mozione votata alla Camera, che in realtà era viscida e sfuggente come un’anguilla, è stata presa come l’anticamera del funerale della tratta Torino-Lione, e la reazione è stata tanto dura da chiarire a Salvini, se mai ce fosse stato bisogno, che su quel punto rischia di giocarsi il rapporto con il principale referente sociale nel nord ma anche di pagare un pegno serio nelle regionali del Piemonte. Capita che si tengano nello stesso giorno delle europee. Rinviare a dopo il voto per Strasburgo potrebbe significare arrivare troppo tardi.

Dunque Salvini deve uscire allo scoperto: «Per me l’opera va fatta e farò di tutto perché si faccia. Troveremo un accordo». Il capogruppo al Senato Molinari è più caustico: «La Lega non voterà mai lo stop ai lavori in aula». Fi e FdI, felicissimi di mettere in difficoltà il leghista, si schierano subito per il referendum. «Purché non serva a perdere tempo», precisa la capogruppo al Senato Bernini. È una doppia minaccia: o in Parlamento o nelle urne della democrazia diretta i 5S rischiano la conta e la sconfitta.

I TEMPI IN REALTÀ STRINGONO. Senza l’avvio delle gare d’appalto entro un paio di settimane potrebbe scattare il ritiro dei fondi europei, e infatti nel governo circola la tentazione di avviare comunque i bandi di gara, per non perdere la tranche di 300 milioni di euro in scadenza. Poi si vedrà. Ma non c’è solo questo. L’incapacità di decidere sulla Tav viene visto in Europa e dai mercati come conferma della fragilità del governo italiano, rendendo di nuovo alta la minaccia spread. Rinviare la decisione per tre mesi non sarà facile e forse non sarà possibile.

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