Più che un vertice, l’incontro sul nodo Tav di ieri mattina a palazzo Chigi tra Conte, Salvini, Di Maio e Toninelli è stato un prevertice, utile per una ricognizione delle rispettive posizioni, sideralmente distanti, e per convocare una maratona che inizierà stasera verso le20 e finirà venerdì, quando Conte si è impegnato a comunicare una decisione definitiva. Giusto in tempo per far eventualmente partire i bandi per la prosecuzione dei lavori e incassare la quota dei finanziamenti europei di 300 milioni.

SARÀ SÌ O NO senza vie di mezzo, assicura il premier. Al summit «che potrebbe durare tutta la notte», parteciperanno i tecnici. Ma non sarà in ballo solo l’analisi costi-benefici. Dal «percorso di razionalità tecnica» si passerà a quello di «razionalità politica», anche se Conte, non senza implicita contraddizione, promette che «le pregiudiziali di Lega e 5S non peseranno», lui stesso essendone garante. Come si farà a percorrere la strada della razionalità politica senza mettere sui piatti della bilancia le rispettive «pregiudiziali» Conte non lo dice. Ma esclude la crisi perché sarà presa «la decisione migliore nell’interesse del Paese».

Anche Salvini, che si professa contento dell’esito del vertice, non vede possibilità di crisi di governo, a differenza del sottosegretario pentastellato Buffagni che in mattinata era andato giù tassativo: «Se per impedire che siano buttati soldi per opere vecchie dobbiamo andare a casa non vedo il problema». Il «problema» però lo vedono tutti gli altri. La crisi tutti la temono e nessuno la vuole. Ma una via per uscire dal vicolo cieco non si è ancora trovata.

IERI È STATO PROPRIO Di Maio a escludere soluzioni ambigue che finirebbero solo per scontentare tutti. Salvini ha portato a casa la sepoltura di fatto dell’analisi costi-benefici della commissione presieduta da Ponti. A decidere non saranno quei conti ma «la razionalità politica», cioè una mediazione tra i due partiti. Solo che, una volta esclusi punti di incontro a metà strada, raggiungerla sembra una missione impossibile. Resterebbe la strada indicata da Toninelli: far partire i bandi mantenendo aperta la possibilità di revocarli entro sei mesi. Sarebbe certo una presa in giro, una volta lanciati i bandi l’ultima parola sarebbe detta.

Ma permetterebbe ai 5S di salvare la faccia in campagna elettorale. Conte, nella improvvisata conferenza stampa al termine dell’incontro mattutino, ha però escluso anche questa eventualità, peraltro non priva di rischi. Prima o poi una parola definitiva andrebbe detta e Di Maio potrebbe non reggere alla somma tra un eventuale risultato elettorale negativo e il sì conclamato alla Tav.

ALL’INCONTRO DI STASERA i soci della maggioranza si presenteranno schierati su posizioni opposte e sferzati delle pressioni esterne. Per i 5S ci sono da sempre: il no alla Tav è inciso nel loro dna più a fondo di qualsiasi altro elemento, incluse le autorizzazioni a procedere.

Per la Lega, invece, sono montate nel corso dei mesi. A questo punto la posta in gioco per Salvini è alta quanto per il leader dei 5S: rischia di perdere il nord, dal Piemonte all’Emilia-Romagna e di entrare in rotta di collisione con i suoi stessi governatori. Ieri Fontana ha infatti confermato che, in caso di blocco dei lavori, anche la Lombardia, come il Piemonte, ricorrerà al referendum. Zingaretti, con una mossa che almeno sul piano tattico è stata indiscutibilmente astuta, si è saputo incuneare tra i soci di maggioranza, impugnando la bandiera del sì alla Tav. Ed è in questo momento una bandiera tanto popolare al nord che la capogruppo di Fi al Senato Bernini sente il bisogno di chiarire che il solo partito davvero pro-tav è quello azzurro, mentre il Pd ha esitato per anni.

LO STESSO OBIETTIVO, far esplodere le contraddizioni della maggioranza, spiega la mozione di sfiducia contro Toninelli presentata dal Pd, alla quale si è aggiunta quella di Fi. Le opposizioni avrebbero voluto metterle ai voti la settimana prossima, essendo l’agenda dell’aula del Senato vuota. La maggioranza ha imposto il rinvio: la sfiducia per il ministro delle Infrastrutture è in calendario per il 21 marzo, il giorno dopo il voto dell’aula sull’autorizzazione a procedere contro Salvini. Le mozioni sulla Tav, uguali a quelle discusse alla Camera, sono fissate per domani. La valenza esplosiva del voto su Toninelli dipenderà tutta dall’esito del lungo braccio di ferro che inizierà stasera e la cui conclusione, per una volta, è davvero ignota a tutti.