«Stanno facendo un film su Zemun, io sono il protagonista» dice uno dei «ragazzi di Taurunum» evocati dal titolo del documentario di Jelena Maksimovic e Dušan Grubin – Taurunum Boy, presentato nel concorso internazionale di TffDoc del Torino Film Festival – agli amici riuniti in piazza. È uno dei pochi momenti in cui questi ragazzi sul confine tra l’infanzia e l’adolescenza sottolineano la presenza delle telecamere dei registi che li seguono, che altrimenti sanno confondersi tra loro senza farsi sentire, scegliendo qualche volta anche di tenersi a distanza per influenzare il meno possibile l’atteggiamento dei giovani protagonisti.

Un breve accenno,quindi, ma significativo: che racconta un tentativo maldestro e ingenuo di spacconaggine e racchiude in sé l’intero senso di un film che cerca di cogliere proprio quel momento di passaggio fra l’innocenza dell’infanzia e l’ingresso in una nuova fase della vita, in cui si cerca di conformarsi a degli standard, dare una certa di immagine di sé.

A TAURUNUM, antico nome di Zemun (uno dei comuni più grandi di Belgrado) è un’immagine da «duri», come raccontano gli stessi registi anche loro originari di quel quartiere «dove la cultura delle gang è molto diffusa, i il legame con la criminalità degli anni Novanta è molto forte e i valori patriarcali sono profondamente radicati». Le ragazze sono infatti per lo più argomenti di conversazione degli amici maschi che passano tra loro i pomeriggi in giro per il quartiere – fra palazzi abbandonati, piazze, la riva del fiume, i primi giri in moto.

Ma anche le feste di compleanno ancora in compagnia dei genitori, davanti a una torta con le candeline accese. L’estate si avvicina e anche l’inevitabile separazione del gruppo di amici che si sparpaglieranno in diverse scuole superiori. A Maksimovic e Grubin non sembra importare quello che saranno, ma la «dolcezza» che resta – e che emerge dai rapporti tra loro appena sotto la superficie.