Leila, campionessa iraniana di judo può vincere i Mondiali ma proprio prima della finale arriva dalla Guida Suprema l’ordine di fermarsi: il fatto che dovrà combattere con una atleta israeliana è per il potere di Teheran inaccettabile. Leila deve simulare un infortunio e abbandonare, e se andrà avanti ci saranno conseguenze gravi per lei e per la sua famiglia, il marito, il figlio che la seguono anche lì, a Tbilisi in questa gara importante, e per la sua coach.

Tatami, che è stato presentato nella sezione Orizzonti dell’ultima Mostra di Venezia, nasce dalla collaborazione fra Zar Amir Ebrahimi, attrice iraniana premiata a Cannes per Holy Spider, per la prima volta alla regia e il regista israeliano Guy Nattiv, ispirandosi a diversi casi accaduti in passato con le atlete dell’Iran che dopo qualche gara non tornavano più indietro. I due registi in un bianco e nero che guarda ai generi del thriller politico e dello sport movie, cercano di tradurre la loro narrazione in una chiave il più possibile universale. Ciò che succede fuori dal tatami delle gare viene suggerito nelle tensioni che lì prendono corpo, nello sforzo di muscoli, nervi, nei gesti millimetrati.

SONO le due protagoniste donne che combattono, ma una, Leila, a differenza della sua allenatrice (la stessa Zar Amir Ebrahimi) non vuole cedere. La sua ostinazione segue geometrie precise, regole definite che fronteggiano i rischi, e che progressivamente in questo suo gesto individuale ne affermano uno potenzialmente collettivo: la necessità di una rivolta per una libertà che sia di tutti.