Le contro riforme fiscali in Italia hanno contribuito enormemente a creare le scandalose disuguaglianze sociali. Solo l’Irpef, dal 1974 al 1982, aveva 32 aliquote, la minima al 10% , la massima al 72%, al di sopra di 258.000 euro di reddito imponibile. Dal 1983, il mutato quadro politico, che aveva scelto di sostenere il processo della finanziarizzazione, determinò un processo di contro-riforme che condussero ad una riduzione delle aliquote, solo 5, dal 23%, la minima, al 43%, la massima, su redditi imponibili oltre i 75.000 euro.

Questo ha comportato una riduzione delle entrate, un aumento del debito pubblico pari al 13%, ed un aumento della tassazione per tutte le altre classi di reddito che in ben 33 anni si sono viste privare la capacità di spesa per oltre 900 miliardi di euro (dati Cadtm Italia).

Ma mentre il discorso pubblico nostrano non affronta questi aspetti, negli Stati uniti qualcosa si muove. La deputata al Congresso degli Stati uniti, Alexandria Ocasio-Cortez, ha dato inizio ad un dibattito indispensabile sulle tasse negli Usa. Gli americani influenti che hanno visto il loro incremento di reddito, sin dal 1980, mentre le loro tasse calavano, potrebbero oggi contribuire di più alle entrate pubbliche e ai bisogni del paese.

Ma questa non è la ragione fondamentale per cui le aliquote più alte sono allettanti. La loro giustificazione basilare non è raccogliere le entrate. Ma è regolare le disuguaglianze ed il mercato economico. È anche salvaguardare la democrazia contro la oligarchia. È sempre stato così. Guardate alla storia degli Stati uniti.
Dal 1930 al 1980 la maggiore aliquota marginale raggiungeva in media il 78%; e superò il 90% dal 1951 al 1963.

Quello che è importante capire è che queste aliquote si applicavano solo ai redditi straordinariamente alti. Solo gli ultraricchi erano soggette ad esse. Nel 1960 , per esempio, l’aliquota marginale del 91% iniziò a colpire oltre la soglia di quasi 100 volte il reddito pro-capite medio, l’equivalente di 6,7 milioni di dollari di reddito al giorno d’oggi.

I semplicemente ricchi – professionisti con guadagni alti, le medie imprese, le persone con redditi di centinaia di migliaia di dollari di oggi – erano tassati con una aliquota marginale in un range dal 25 al 50 %. L’obiettivo fondamentale dell’aliquota marginale più alta è di obbligare lo spropositato e specialmente immeritato accumulo di ricchezza. Dagli anni ’30 agli anni ’80 gli Stati Uniti arrivarono, più di qualsiasi paese democratico ad imporre un reddito massimo legale.

La diseguaglianza dei redditi al lordo delle imposte si restrinse drasticamente. Proprio come il punto di tassare il carbonio non è quello di aumentare le entrate, ma di ridurre le emissioni di carbonio, le alte aliquote fiscali per i redditi altissimi non mirano a finanziare solo gli investimenti sociali e pubblici per tutti. Mirano a prevenire una deriva oligarchica che, se lasciata senza indirizzo, continuerà a minare la democrazia sociale.

Chi non attacca questo sistema di diseguaglianze e propone la flat tax sta perpetuando le ingiustizie sociali e, mentre evita di affrontare i nodi fondamentali, distoglie l’attenzione del popolo con diversivi che alimentano “l’onda nera” del razzismo, impedendo ai poveri e diseredati di unirsi contro l’èlite. Se il populismo o il sovranismo non aumenta le imposte ai ricchi in realtà è perché si vuole impoverire tutti, creando le basi per una deriva oligarchica ancora più accentuata o peggio per un regime dittatoriale.