«Poca sorpresa sulla sentenza del Consiglio di Stato, al netto di alcuni passaggi sui quali sarebbe opportuno riflettere. Di certo oggi nessuno può sentirsi banalmente assolto. Con la mia ordinanza abbiamo chiamato lo Stato alle sue responsabilità sul futuro dell’ex Ilva e sulla salute dei tarantini. Ora la palla passa alla politica e al Governo, bisogna dimostrare che l’Italia è un paese civile e coraggioso. Dal canto mio ho, perciò, la coscienza a posto, ho fatto tutto quello che era nei poteri del sindaco per provare a difendere la mia comunità».

Così il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci sulla sentenza del Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso di ArcelorMittal e Ilva in amministrazione straordinaria contro la precedente sentenza del Tar di Lecce consentendo la prosecuzione della produzione dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico ex Ilva.
Oggetto del contendere era proprio una ordinanza del primo cittadino per la chiusura dell’area a caldo del siderurgico. «La battaglia continuerà finché non ci sarà un tavolo per l’accordo di programma che sancisca la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento ionico», conclude. Ma la delusione tra le associazioni ambientaliste, non solo tarantine, e i comitati locali che da anni si battono per la salute della città, è forte e non viene nascosta.

«Ancora una volta viene quindi negata giustizia a Taranto, nonostante la sentenza del Tribunale amministrativo di Lecce avesse emesso una sentenza con opportuni richiami a precedenti espressioni dello stesso Consiglio di Stato – scrivono in una nota congiunta una sessantina di associazioni e movimenti ambientalisti di Taranto, Abruzzo, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana e Veneto – . Un giudizio che, alla luce delle nuove evidenze scientifiche e sanitarie che sottolineano ancora eccessi di mortalità e di malattie correlate agli inquinanti immessi dall’impianto siderurgico sul nostro territorio, non esitiamo a giudicare, come sempre, sbilanciato verso la produzione e il profitto piuttosto che la vita».
«Investire sui prodotti invece che sul capitale umano – osservano le associazioni – è una strategia economicamente perdente, politicamente miope e retrograda, foriera di ulteriori fallimenti economici e sociali cui la nostra comunità non intende arrendersi. Tuttavia, nonostante questa battuta d’arresto, la battaglia che conduciamo da anni non si ferma ed ha ancora svariati e fondati motivi per essere combattuta e vinta».

«Lo Stato condanna, lo Stato produce, lo Stato inquina, lo Stato assolve, lo Stato uccide, possiamo riassumere così la vicenda relativa all’ex Ilva di Taranto. In tutto questo i tarantini continuano a pagare la colpe di una politica locale incapace di difenderli con un’ordinanza realmente inattaccabile e di una politica nazionale che ha deciso che l’acciaio viene prima della salute», è l’amara constatazione del Comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti, uno dei gruppi maggiormente impegnati e dall’inizio nella lotta contro l’inquinamento. E mentre l’Usb parla di «sentenza politica» e il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli di «giustizia negata per Taranto», per gli ambientalisti pugliesi, tra cui Giustizia per Taranto, Legamjonici, Peacelink e Ail, «i fantomatici piani del governo per l’ex-Ilva restano assai precari e non supportati né a livello economico, né tecnico e né da evidenze che escludano ulteriori ricadute sanitarie sul territorio.

A ciò si aggiungono la condanna comminata nel 2019 allo Stato italiano da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la pesantissima confisca degli impianti dell’area a caldo decisa qualche giorno fa nel processo Ambiente Svenduto, cui si è aggiunta anche quella pecuniaria di oltre due miliardi di euro ai danni di Ilva in Amministrazione Straordinaria. Occorre un programma di risanamento e riconversione che coinvolga tutta la città e attorno al quale scrivere una nuova e sana pagina di storia per Taranto».

In serata un gruppo di cittadini tarantini si sono radunati spontaneamente davanti alla Prefettura del capoluogo jonico, dove hanno adagiato dei teli sul selciato e si sono stesi per terra per opporsi «simbolicamente alla violenza dello Stato» a seguito della sentenza del Consiglio di Stato .