«Se siete qui, allora sapete già chi è. Una delle più importanti figure musicali del nostro tempo». In questo modo (il vero) Adam Gopnik introduce al numeroso pubblico che occupa ogni poltrona del teatro, la celebre compositrice e direttrice d’orchestra, Lydia Tár. La grande musicista che ha iniziato la sua carriera alla Cleveland Orchestra e che ha poi continuato in un crescendo a Chicago, Boston e New York, fino a diventare la prima donna a dirigere la Filarmonica di Berlino dove ora si accinge a completare l’intero ciclo delle sinfonie di Gustav Mahler con la tanto attesa esecuzione della Quinta.
Concerti, libri, riconoscimenti. A Lydia Tár niente è precluso, che si tratti di musica, cinema, televisione o teatro. E persino in una semplice intervista esibisce, senza apparente sforzo, sagacia, humor, determinazione, orgoglio. Un personaggio sicuro di sé, in grado di prendere il potere e di conservarlo, addirittura ampliandolo. Però, si sa, le cose mutano repentinamente.
E, infatti, a un certo punto si apre il baratro che separa la gloria dell’opera dalle miserie della vita. Lydia è colta da una vertigine quando comprende che la sua immensità l’ha portata molto in alto, solo per farla precipitare rovinosamente. A sua parziale giustificazione, non le è stato anticipato che il superbo esercizio del potere spesso conduce al precipizio. E così, ecco d’improvviso le accuse di abusi, di scelte basate su desideri sessuali, di coercizioni psicologiche. Lydia Tár si trasforma da sovrana assoluta a preda della sua stessa volontà di potenza.

CON UNA CARRIERA da attore alle spalle e due lungometraggi da regista realizzati nella prima decade del Duemila, Todd Field (che nel frattempo sta lavorando a un adattamento televisivo di Purity, il romanzo di Jonathan Franzen) si è addentrato nei vicoli di una storia umana che contempla il dissidio tra l’opera e la vita. Tár è una riflessione sul senso di una biografia, sul gesto artistico che a un certo punto è travolto dal vissuto.
Dopo l’anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia (Coppa Volpi a Cate Blanchett che con la sua performance sostiene l’intero film) e le sei nomination agli Oscar, Marin Alsop si è sentita offesa come donna, come lesbica e come musicista. Una reazione che conferma i continui e non pacifici rimandi tra l’esistente e la sua rappresentazione.
Al di là di questa polemica, Tár racconta di un oblio, di una persona al comando in mezzo a una moltitudine di sottoposti. Narra di una forza che in una sala da concerto, come in un qualsiasi ufficio, inevitabilmente porta con sé il germe dell’arbitrio e della prevaricazione.