A leggere ieri mattina il programma della giornata conclusiva dell’Assemblea generale dell’Onu a New York, si poteva ben dire che Ashraf Ghani l’avesse spuntata e i Talebani no. Ma nel primo pomeriggio di ieri le cose si sono ribaltate. E il nome «Afghanistan», nella lista degli aventi diritto a parlare, è sparito.

UN ALTRO STATO invece era assente dall’inizio perché il governo ombra birmano ha scelto il «basso profilo» rinunciando a chiedere di far parlare il suo emissario all’Onu. Sono i colpi di scena dell’«intrigo» del Palazzo di Vetro. Proviamo a ricostruirlo. In calendario il penultimo discorso, prima di Timor Est, spettava a Ghulam Isaczai, l’uomo che l’ex presidente dell’ormai ex Repubblica islamica d’Afghanistan aveva scelto (nel luglio scorso) come rappresentante permanente all’Onu. Ma la vicenda scottava: sia per quanto riguarda l’Afghanistan sia per quanto concerne il Myanmar, per non dire della Guinea, tre Paesi che – primo il Myanmar ultima la Guinea – hanno subìto nel 2021 repentini cambi di regime: il Myanmar col golpe militare di febbraio, l’Afghanistan – ridivenuto Emirato il 7 settembre con la nascita di un esecutivo a interim – e la Guinea, con un putsch di qualche giorno dopo.

SIN DAL DOPO GOLPE di febbraio, col caso Myanmar, l’Onu è entrata in fibrillazione e il Credentials Committee (nove membri nominati dal Segretario generale che devono formalizzare il «gradimento» agli ambasciatori proposti) ha cominciato a prendere tempo.

La giunta militare birmana infatti aveva deciso di sostituire il diplomatico Kyaw Moe Tun con un ex generale, anche perché Kyaw Moe Tun si era sbilanciato per Aung San Suu Kyi e contro la giunta che ha assunto il nome di State Administration Council. Ma mentre il Consiglio cercava di sbrogliare le varie matasse Russia, Cina e Stati Uniti si sono messi d’accordo su una mediazione che ha fatto scegliere all’ambasciatore un basso profilo: lui non avrebbe parlato ma non lo avrebbe fatto nemmeno un emissario della giunta. Palla al centro.

IL CASO DELL’AFGHANISTAN è ancora più complesso anche se sembrava che – stando a Stéphane Dujarric de la Rivière, portavoce di António Guterres, l’inviato di Ghani, Ghulam Isaczai, fosse iscritto nella lista di chi doveva parlare. Cancellando anche lui, su richiesta dell’ex amministrazione, è saltato ogni imbarazzo dopo che Amir Khan Muttaqi, attuale ministro degli Esteri dell’Emirato, si era proposto per un intervento con una lettera inviata direttamente a Guterres, come reso noto da Mohammad Suhail Shaheen, l’uomo che i Talebani vogliono all’Onu come ambasciatore, già portavoce dei negoziati di Doha che hanno condotto al ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan.

La voce di corridoio dice che la richiesta di Shaheen sia arrivata troppo tardi sia per accreditarlo sia per accettare che Muttaqi andasse al microfono delle Nazioni Unite. Cosa che avrebbe creato un certo imbarazzo e che sarebbe stata interpretata come un avallo alle autorità di fatto del Paese, giunte al potere con la forza.

ANCHE SE ALLA FINE ha prevalso l’idea di far tacere pure Isaczai, il problema resta. Resta nelle decine di stanze della diplomazia mondiale (dall’Oms all’Ufficio internazionale del lavoro) dove i comitati per le credenziali godono di una certa autonomia anche se devono pur sempre fare i conti con il riconoscimento o meno di questo o quel esecutivo. «Interagite con il nuovo governo, restituite i fondi congelati della nazione afghana e riconoscete il nuovo governo». Così recita un messaggio postato ieri sul profilo personale di Facebook di Ghani. In cui l’ex presidente, fuggito dal Paese il 15 agosto quando i Talebani sono arrivati a Kabul, criticava le cancellerie straniere «che incoraggiano i vecchi ambasciatori e rappresentanti a creare nuove crisi nel Paese e negli incontri internazionali», per poi dirsi dispiaciuto del discorso che l’ambasciatore da lui nominato, Ghulam Isaczai, avrebbe tenuto di lì a poco all’Onu.

Ma il discorso di Isaczai non c’è mai stato. E il post, così ha spiegato lui stesso sul profilo Twitter, non lo ha scritto Ghani, ma gli ignoti che ne hanno hackerato per qualche ora la pagina Facebook. E mentre l’Ambasciata afghana in Italia, che rappresenta la vecchia Repubblica, ringrazia il ministro degli Esteri Di Maio per aver ribadito che l’Italia non riconoscerà il governo dei Talebani, la sede diplomatica afghana di Bruxelles è stata occupata da alcuni afghani. Dicono di rappresentare il Fronte di Resistenza Nazionale e si dicono pronti a impedirr la nomina di nuovo ambasciatori talebani.