L’ultimo pensiero, come il primo ieri, è per lui, il totem, il santo protettore, l’asceso: «Un grande abbraccio a Silvio Berlusconi che ci ascolta da lassù». Antonio Tajani, acclamato segretario di Forza Italia senza un sussurro contro, ci tiene anche a far sapere che la prima a congratularsi, anche a nome di Piersilvio, è stata Marina. La famiglia c’è. Del resto, con l’anagrafe come alibi, sarà Deborah Bergamini, fiduciaria di casa Berlusca, la vicesegretaria «sostituta». Se si fosse votato non sarebbe andata così, primus inter pares tra i 4 vice sarebbe stato probabilmente Roberto Occhiuto. I gazebo erano già pronti. Poi si è deciso di soprassedere per affidarsi all’anagrafe. E a Marina.

IL NUOVO SEGRETARIO torna sull’argomento successione, riprende la metafora del giorno precedente: «Non sono Maradona, non è facile fare il capitano dopo Berlusconi ma ce la metterò tutta». Stavolta il tono è più sicuro. È il momento di entrare in partita e «dalla vittoria dipende la sopravvivenza nei prossimi 30 anni». Vittoria significa arrivare vicini al 10% alle europee e verificare nelle urne quel che profetizzano i sondaggi: che con la Lega è testa a testa e lo stesso sorpasso è possibile. Del resto i soliti sondaggi piazzano proprio lui, il sobrio Antonio, al secondo posto negli indici di popolarità: dopo la premier ma prima di Giuseppe Conte e a distanza siderale da Matteo Salvini.

QUEL CHE IL PRIMO congresso azzurro post-Silvio dice è proprio questo: la fase in cui l’esistenza stessa di una squadra di Arcore era in forse è finita. I conti, annuncia il nuovo leader dal palco, sono finalmente quasi in ordine e tante grazie all’amministratore Fabio Roscioli che ha risanato quel che pareva insanabile. La logorante guerra interna è finita e Tajani avverte: «Non possiamo dividerci per stupidaggini o piccole ambizioni personali». Il gruppo dirigente è stato composto a tavolino rispolverando il vecchio Cencelli. Schifani, giubilante, chiama in causa il sovrannaturale: «È un secondo miracolo italiano: Forza Italia c’è ancora dopo che Berlusconi ci ha lasciato».

Giocare una partita da cui dipende tutto implica avere in mente uno schema di gioco. Tajani ce l’ha. Assicura che «gli alleati non hanno nulla da temere», aggiungendo subito che «però non ci si può chiedere di rinunciare alla nostra identità»: invece è uno schema che rende inevitabile lo scontro con la Lega. È il disegno europeo che persegue Meloni, il matrimonio tra Conservatori e Popolari sulla pelle della destra più radicale. Roberta Metsola, presidente dell’Europarlamento, si lancia: «Berlusconi ha fatto la storia d’Europa». Nell’aldilà il leader cacciato dal Senato se la gode.

È UNA STRATEGIA che ha ispirato tutte le ultime mosse di Tajani. Anche prima di cingere la corona ha spalleggiato Meloni nei due scontri che hanno umiliato il Carroccio, quello sul candidato in Sardegna, con il sardo-leghista Solinas scalzato per far posto al Fratello sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, e quello sul terzo mandato. Gareggia con la premier in atlantismo e vicinanza all’Ucraina, ed è uno spartiacque che taglia fuori Salvini. Il vero asse nella maggioranza non è certo quello tra i due partiti in apparenza più simili. Al contrario proprio la somiglianza spinge la premier a non concedere niente. Se ci fosse un caminetto, come ai bei tempi del caro estinto, a scaldarsi l’una accanto all’altro sarebbero Giorgia e Antonio, con Salvini nell’ingrata parte che toccava allora a Fini.

LA MANOVRA HA I SUOI rischi. L’incoronato dal congresso correrà il primo già oggi. La Sardegna è un’incognita. Se Truzzu, il candidato imposto a Salvini, sarà sconfitto, il peso della batosta ricadrà su Meloni più che su chiunque altro ma subito dopo sul complice azzurro. E la partita del terzo mandato, che si sta già dimostrando molto più complessa di quanto Meloni prevedesse, diventerà un calvario. Lo scontro con gli amministratori locali, una potenza che nessun partito può permettersi d’ignorare, è bipartisan: lacera la destra appena un po’ meno del Pd. Se le urne, oggi, daranno ragione a Meloni e Tajani, la rivolta degli amministratori, cavalcata da Salvini, sarà domata senza immenso sforzo. Altrimenti per la Conservatrice e per il Popolare tutto diventerà molto più difficile. Il fischio d’inizio partita, per la squadra che ieri sera ha festeggiato con l’Inno di Fi e con Azzurra libertà, suona subito.