Primo e probabilmente anche ultimo giorno da candidato premier per Antonio Tajani. Il nome circola da mesi, ma il presidente del parlamento europeo ha sciolto la riserva solo giovedì ed è stato promosso ufficialmente dal sovrano appena ieri, nel corso di un pranzetto con annesso colloquio a palazzo Grazioli prolungatosi per ore. Poi di corsa all’Hotel Parco dei Principi per intervenire a un convegno sull’Europa. La sua campagna elettorale inizia e finisce qui.

Del resto Berlusconi non lo ha scelto per esporlo al pubblico votante italiano e tanto meno in forza del carisma ma esclusivamente per controbilanciare agli occhi dell’Europa gli alleati amici di Marine Le Pen o di Orban. E lui ha accettato solo per spirito di servizio: se la patria chiama… Le preoccupazioni dell’ennesimo delfino di re Silvio sono evidenti e confessate in privato: se vince dovrà vedersela prima con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che non faranno un euro di sconto, poi, se la sentenza di Strasburgo lo permetterà, con lo stesso santo protettore che a quel punto scalpiterà per riprendere il posto che considera comunque suo a palazzo Chigi. Se invece il centrodestra non raggiungerà la maggioranza dei seggi pur piazzandosi primo, proprio a lui potrebbe toccare la missione ardua di tenere insieme una coalizione che è tale per forza e certo non per amore.

Lo si è riscontrato per l’ennesima volta ancora ieri, con Salvini che saluta l’arrivo di Tajani chiarendo che lui è «pronto a fare il premier, oneri e onori» mentre il forzista lo vede bene dove sta: in Europa. A Giorgia invece il papabile azzurro non piace tanto neppure a Bruxelles: «Lo rispetto, ma preferirei uno che sa battere i pugni sul tavolo». Sulla lealtà agli accordi, almeno, Salvini non deflette e conferma che se Fi prenderà un voto in più Tajani s’insedierà a palazzo Chigi. Berlusconi invece glissa: «Se Forza Italia è avanti Tajani sarà premier, e se è avanti la Lega… spero che sia Tajani lo stesso».

Facezie da campagna elettorale, che però mascherano una tensione crescente. I sondaggi clandestini continuano a dare Arcore in netto vantaggio. Tutti tranne quelli di cui più si fida il capo, che invece registrano appena un’incollatura di scarto: tra l’1,5% e i due punti. Decisamente troppo poco per dormire sonni tranquilli. Anche perché a conti fatti gli azzurri hanno scoperto che nella ripartizione dei collegi uninominali il Carroccio si è aggiudicato quasi tutte le postazioni più vantaggiose.

Eppure, per quanto profonde siano le divisioni, il centrodestra sarà costretto a restare unito anche senza vittoria domenica. Se nessuno otterrà la maggioranza la partita di domani si configurerà come un primo tempo, e nel secondo, poco importa se fra tre mesi o un anno, la destra ha un solo modo per fronteggiare M5S in una partita che, nel caso, sarebbe essenzialmente a due col Pd schiacciato in mezzo: restare unita. Fare di necessità virtù per una intera campagna elettorale è stato faticoso. Continuare così per mesi e mesi lo sarà molto di più.