Il governo nasconde la polvere sotto il tappeto. Tesoretto? La realtà è durissima: se non tagliamo 16 miliardi di spesa pubblica per il 2016, scatterà la clausola di salvaguardia, con un aumento di tasse equivalente (Iva e accise). Yoram Gutgeld e Roberto Perotti stanno lavorando con dedizione al taglio della spesa pubblica. Sono molte le voci interessate. La più delicata è la revisione delle agevolazioni fiscali, ovvero il taglio di deduzioni, detrazioni ed esenzioni che riducono il carico fiscale per un contro valore di 253 miliardi (Commissione Vieri Ceriani). Sono almeno 10 i miliardi da trovare.

Sono in cantiere non meno di 52 voci di agevolazioni fiscali da colpire, ma il governo si affretta a dire che per ora sono solo simulazioni. Tra i temi più delicati, oltre al bonus edilizio, ci sono le detrazioni per spese mediche e per le badanti. Dovrebbe progressivamente scomparire, all’aumento del reddito, la detrazioni (attualmente al 19% per tutti) per le spese mediche, così come quella dei contributi previdenziali per l’assistenza personale e familiare. Nel mirino tornano altre voci più volte chiamate in causa negli anni scorsi: spese funebri a veterinarie.

Sono ipotesi che si scontrano con l’indicazione del Parlamento che ha chiesto, esplicitamente, che l’intervento sulle tax expenditures sia rivolto a eliminare doppioni e agevolazioni non giustificate dal punto di vista economico o sociale, salvaguardando però le voci più sensibili, in particolare quelle per i redditi da lavoro dipendente, i redditi di imprese minori e quelli da pensione.

A Gutgeld va ricordato un liberale perbene: Luigi Einaudi e l’idea dei diritti presi sul serio, e le sue lezioni del ‘44. Il bilancio pubblico non è il bilancio di una impresa, e tanto meno il bilancio di una famiglia. La differenza tra politica economica e ricerca del profitto è materia complicata. Non è facile polemica, ma la spending e l’intervento sulle agevolazioni fiscali del governo non hanno la finalità di migliorare la distribuzione del reddito, che nel frattempo è peggiorata in tutti i paesi a capitalismo maturo (Atkinson, 2015), oppure quella di riallocare la spesa pubblica per rilanciare il sistema economico attraverso il governo della spesa, ma solo quella di recuperare risorse. Alla faccia della politica economica e cambiare verso.

Le letture keynesiane sono superflue? Non discuto questa opinione, ma non si deve mai dimenticare che le principali attività della pubblica amministrazione possono essere ricondotte: (1) all’individuazione della migliore allocazione delle risorse all’interno dell’economia nel suo insieme, cioè ripartirle tra pubblico e privato, e allo sviluppo di attività pubbliche che il privato non ha nessun interesse a realizzare; (2) alla necessità di assicurare una crescita economica; (3) alla programmazione-stabilizzazione della crescita economica, intervenendo ogni qual volta si manifestasse una crisi, oppure una riduzione della crescita nei casi di inflazione eccessiva o una selezione degli investimenti necessari per programmare lo sviluppo; (4) alla distribuzione del reddito al fine di evitare una eccessiva polarizzazione del reddito e, quindi, favorire alcuni gruppi sociali.

Quindi, l’efficacia o meno della spesa pubblica non dipende solo dalla sua dimensione, ma anche dalla composizione. Se la spending review diventasse governo della formazione spesa pubblica, superando la logica del risparmio più o meno necessario, potremmo conseguire obbiettivi sociali, economici e industriali di grande utilità. Una parte rilevante dell’attuale spesa pubblica è figlia di vecchi progetti. In alcuni casi sono inutili e fondati su scenari economici completamente diversi. Peccato che il taglio di queste spese farebbe scattare delle penali pari alla spesa tagliata.

Concordo con Gutgeld e Perotti che il governo della formazione della spesa è attività complicata, ma lo è nella misura in cui l’obiettivo è solo quello di tagliare e comprimere il pubblico. Vedremo con la Legge di Stabilità.