Per il taglio dei parlamentari siamo già all’ultimo atto del senato, comincia oggi in commissione affari costituzionali la prima lettura della seconda deliberazione prevista dall’articolo 138 della Costituzione. Non sono possibili emendamenti dunque adesso è un prendere o lasciare: 630 deputati e 315 senatori quanti sono oggi, o 400 deputati e 200 senatori come vogliono 5 Stelle e Lega. Che in questo caso, almeno nelle intenzioni, marciano compatti. L’allarme del ministro Fraccaro sulle possibili defezioni dei leghisti, che a suo dire sarebbero preoccupati di perdere la possibilità di essere rieletti, andava letto in chiave interna: sono i voti dei 5 Stelle che potrebbero mancare in aula, come sono già mancati nei precedenti passaggi sia alla camera che al senato.

I dissensi, anche quando travestiti da «missioni», si fanno adesso assai pericolosi, perché la Costituzione prevede che l’ultimo passaggio debba obbligatoriamente essere approvato a maggioranza assoluta dei componenti di ogni camera. Dunque servono tassativamente almeno 160 voti al senato. Una quota che sulla carta sarebbe a portata di mano dei giallobruni, che anche dopo l’ultimo addio al gruppo grillini (Nugnes) contano su 172 senatori di maggioranza (58 leghisti, 110 M5S e 4 del gruppo misto stabilmente con il governo). In realtà, però, nel precedente passaggio al senato, il 7 febbraio scorso, malgrado si trattasse di un voto assai meno impegnativo perché interlocutorio, sono mancati 17 voti grillini, 8 voti leghisti e tutti i voti del misto. Quindi la maggioranza si è fermata a 144, sotto la soglia minima. La debacle non si è notata molto perché nascosta dai voti favorevoli di due gruppi di opposizione, Forza Italia e Fratelli d’Italia, molto critici con la proposta di riforma costituzionale ma alla fine orientati per il sì per non lasciare la gloria del provvedimento anti casta alla sola maggioranza. Quanto poco gli stessi senatori di centrodestra fossero convinti di questo ragionamento, però, lo si è visto nei voti effettivi che hanno fatto confluire sulla riforma: appena 41 sui 79 a loro disposizione. Voti comunque sufficienti a spingere la debole maggioranza fino alla soglia della maggioranza assoluta obbligatoria.

Dunque quando la riforma costituzionale arriverà in aula il suo destino potrebbe essere nelle mani della «opposizione» di centrodestra. Con tutte le opzioni in campo: un appoggio convinto al provvedimento consentirebbe persino di agguantare il quorum dei 2/3, raggiunto il quale non si dà luogo al referendum confermativo. Un ripensamento rispetto alla prima deliberazione, invece, potrebbe mettere in forze persino l’approvazione della riforma simbolo dei 5 Stelle.
«Se i 5 Stelle hanno problemi in casa loro, non lo so, noi in casa nostra non ne abbiamo», ha risposto ieri il senatore Calderoli – leghista relatore della riforma – al ministro Fraccaro. Pronosticando un iter velocissimo del provvedimento: entro questa settimana in commissione e ai primi di luglio la votazione in aula. Dal 10 agosto, poi, scaduti i tre mesi di «riflessione» previsti dall’articolo 138, potrebbe chiudere il discorso anche la camera. Ma un ultimo atto in quella data quasi feriale è improbabile e verosimilmente sarà rimandato a settembre.

Quel che è certo è che la riforma «semplice» che porterà l’Italia ad avere il rapporto più basso d’Europa tra popolazione e rappresentanti, «uno spot che realizza un attacco al parlamento» secondo il senatore Pd Dario Parrini, ha superato in corsa l’altra riforma firmata 5 Stelle: il referendum propositivo. Inchiodato in commissione al senato ancora in prima deliberazione e ormai avviato verso le modifiche che lo riporteranno alla camera.