Leggero, sorridente, contemplativo Papa Francesco nella sua giornata a Fatima lo scorso sabato13 maggio, nel giorno del centenario dell’apparizione della Madonna ai tre pastorelli, ha cercato i segni della fede, più che quelli della potenza della Chiesa.

La fede autentica, semplice, diretta. La fede del popolo, delle persone che in quei luoghi, vengono a cercare segni che curino corpi ed esistenze tribolate e infelici. Anche a Fatima, cuore hard del miracolismo novecentesco, visibilmente poco gli importa dei segni della potenza del sacro, dell’affermazione di un ordine soprannaturale che si rispecchia nelle grandi spianate, adatte a grandi masse.

Lo ha spiegato bene il giorno dopo, alla folla radunata a Piazza San Pietro, quando ha parlato della canonizzazione dei due pastorelli: «La loro santità non è conseguenza delle apparizioni, ma della fedeltà e dell’ardore con cui essi hanno corrisposto al privilegio ricevuto di poter vedere la Vergine Maria». Insomma, non è il miracolo, che fa santi, ma l’esperienza che da quell’incontro cambia la vita. Un bel rovesciamento. «Dopo l’incontro con la “bella Signora”, essi recitavano frequentemente il Rosario, facevano penitenza e offrivano sacrifici per ottenere la fine della guerra e per le anime più bisognose della divina misericordia. Anche ai nostri giorni – ha scandito il Papa – c’è tanto bisogno di preghiera e di penitenza per implorare la grazia della conversione, come pure la fine degli assurdi conflitti e delle violenze che sfigurano il volto dell’umanità».

Venerazione, rispetto, preghiera. Questo il comportamento di un Papa che proprio a Fatima era aspettato alla prova dai suoi avversari interni, da chi lo accusa di comunismo se non peggio. Un conto, viene più o meno sussurrato, è avere contro i dubia di quattro cardinali e ambienti tradizionalisti. Un conto sarebbe mettersi contro la devozione di un popolo. E papa Bergoglio, che si affida all’uso del discernimento, si è fatto parte del popolo che crede.

Non ha avuto accenti trionfali, ha preferito raccogliersi, pregare in silenzio. «A Fatima mi sono immerso nella preghiera del santo Popolo fedele, preghiera che là scorre da cento anni come un fiume, per implorare la protezione materna di Maria sul mondo intero».

E la pace è stato un richiamo forte, nel 1917 la prima guerra mondiale devastava l’Europa, e non c’era nessuna speranza di vederne la fine. Della preghiera di Papa Francesco ha poi colpito il richiamo al suo essere pellegrino vestito di bianco, come gli altri pontefici venuti in passato lì a pregare. Sembrava una ripresa del linguaggio del famoso terzo mistero. Ma subito, nell’aereo che lo riportava a Roma, conversando con i giornalisti, lo ha svuotato di ogni aura mistica. Era una preghiera scritta dal santuario, ha detto, io l’ho soltanto letta. Insomma, nessun desiderio di coltivare la mitologia dei segreti di Fatima, in particolare l’ultimo, il cui contenuto profetico Giovanni Paolo II identificò con l’attentato di cui fu vittima, proprio un 13 maggio. Fino a volere che la pallottola che l’aveva ferito senza ledere nessun organo vitale, fosse incastonata nella corona della Vergine, dove si trova tuttora.

Già papa Ratzinger aveva insegnato che i misteri di Fatima lasciano liberi, non è obbligatorio crederci. Papa Bergoglio ne ha asciugato la dimensione mitica. Come si appresta a fare, con molta determinazione, con le apparizioni di Medjugorie: «La Madonna non è una postina», ha ribadito mentre smontava pazientemente tutto l’armamentario di coincidenze che stanno intorno all’ideologia di Fatima. Fino a dire, per esempio, che non aveva mai fatto caso – fino a quel giorno – al fatto che era stato nominato vescovo un 13 maggio.

Non è cosa da poco sciogliere il nesso tra culto mariano e potenza della Chiesa e del papato. È da quando nel 1854 Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione – e Pio XII nel 1950 quello dell’Assunzione – che il papato attraverso Maria ha affermato il proprio potere simbolico contro la modernità. Dove porterà stare con la preghiera del popolo?