A cinque giorni dal voto, segnali di raccomandazione se non di intimidazione giungono ad Atene. Nelle ultime settimane i creditori internazionali hanno, almeno apparentemente, cambiato rotta, lasciando da parte gli scenari del Grexit, ovvero le voci per un’eventuale uscita della Grecia dalla zona euro, ma fanno notare, chi con toni rigorosi, chi con cautela, che il nuovo governo greco deve comunque mantenere i patti, ovvero continuare con l’austerity, se vuole gli aiuti economici.

«Il governo che uscirà dalle urne dovrà rispettare gli impegni assunti coi partner e proseguire nelle riforme e nella responsabilità finanziaria», dice il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, promettendo che «l’Europa sosterrà la Grecia». Poco prima il capo del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha minacciato Atene di conseguenze nel caso il prossimo governo proceda a una ristrutturazione del debito dopo le elezioni. «Un debito è un debito ed è un contratto» afferma Lagarde in un’intervista pubblicata ieri al quotidiano irlandese Irish Times, rispondendo a una domanda sull’idea, promossa da Syriza, di tenere una conferenza internazionale, simile a quella tenuta a Londra nel 1953, dove i paesi occidentali hanno deciso di tagliare i debiti della Germania ovest del 50%. «Default, ristrutturazione, modifiche nei termini hanno conseguenze sulla firma e sulla fiducia nella firma» aggiunge il capo del Fmi.

Lagarde non ha voluto esprimersi sulla sostenibilitá del debito greco, ma secondo analisti anche la troika (Fmi, Ue, Bce) si rende conto che un debito pari al 177% del Pil è insostenibile. Atene non sarà mai in grado di restituirlo, come del resto anche altri paesi europei. La richiesta quindi fatta da Alexis Tsipras di una ristrutturazione è ragionevole, tenendo anche conto che la dimensione del debito greco è tutto sommato limitata rispetto al Pil complessivo dei paesi membri della zona euro. Il problema sta altrove: accogliere la richiesta di Atene aprirebbe la strada a richieste simili da parte di Roma, Madrid, ecc.

Questo pericolo di contagio, oltre al fatto che sarà messa in discussione la politica economica di Berlino, spaventa i creditori internazionali.

Cauto, invece, viene interpretato l’intervento del presidente dell’eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ministro delle finanze olandese. Riferendosi all’intento di Syriza, una volta al governo, di chiedere il taglio del debito pubblico, Dijsselbloem sottolinea che «in aggiunta alle misure già prese siamo pronti ad allegerirne il peso. Non dimentichiamo che i tassi di intreresse che la Grecia sta pagando all’Europa sui suoi prestiti sono molto bassi. (…) Se i greci tengono fede all’accordo, siamo pronti a fare di più se necessario». È chiaro che questo «di più» potrebbe essere una dilazione, un’ulteriore riduzione dei tassi d’interesse oppure addirittura un generoso taglio, come vuole Syriza.

A livello istituzionale Berlino continua a discutere con il governo uscente di Antonis Samaras, ma il socialdemocratico Jorg Asmussen, già vice-ministro del lavoro e membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea si è incontrato con alti dirigenti del Syriza per esplorare il terreno. «Merkel è consapevole di tutto ció che sta succedendo in Grecia» ha affermato pochi giorni fa il portavoce del ministero delle Finanze tedesco. La cancelliera, insomma, sta preparando il terreno per il suo incontro post-elettorale con Tsipras, mentre la strategia della paura applicata da Antonis Samaras sembra aver sortito effetti opposti all’obiettivo del premier uscente, sempre più solo e isolato dai suoi alleati in Europa, esclusion fatta per Mariano Rajoy, il suo omologo spagnolo in visita ad Atene la settimana scorsa.

Secondo la media (poll of polls) dei dati raccolti tra il 7 e il 15 gennaio da tredici sondaggi di opinione pubblicati sul quotidiano greco Kathimerini, Syriza raccoglie il 34,7% dei voti contro il 30,2% della Nea Dimokratia di Samaras; seguono To Potami (Il Fiume) con il 7%, i neonazisti della Chrysi Avghi (Alba Dorata) con il 6,2%, il Kke con il 5,6%, i socialisti del Pasok, partner del governo di coalizione con il 4,7%, mentre Anel, il partito anti-memorandum di destra e il Movimento dei Socialisti democratici rimangono fuori dal parlamento, fermi sotto la soglia del 3%.
In base a questi dati Syriza otterrebbe 145 seggi su 300, cinque in meno di quelli che servirebbero per formare un governo autonomo. Tenendo conto che Tsipras ha tagliato drasticamente i ponti con il centro-sinistra, mentre i comunisti hanno escluso ogni possibilitá di collaborare con Syriza, rimane per il momento incerto come e in base a quali accordi ci sarà un partner governativo.

Intanto domani la Bce esaminerà la domanda di quattro istituti bancari ellenici che hanno chiesto l’aumento della loro liquidità tramite il meccanismo preposto dall’Ue, l’Emergency Liquidity Assistance (Ela).

Una parte dei greci temono che prima o poi, come avvenuto nel marzo del 2013 a Cipro, non potranno fare prelievi dai bancomat. Giá ieri la Piraeus bank non permetteva dalle sue casse prelievi superiori ai 5 mila euro.