La ripresa potrebbe non essere «resiliente», ma fortemente differenziata tra Nord e Sud del paese. Lo sostiene l’anticipazione del rapporto Svimez «L’economia e la società nel Mezzogiorno» resa nota ieri. È la conseguenza di uno dei principali problemi strutturali dell’economia italiana con bassa produttività e salari ancora più bassi. Dopo 15 mesi di pandemia del Covid il divario tra le due facce del paese si è allargato sempre di più, insieme a quello tra l’intero paese e il resto d’Europa.

L’ASSOCIAZIONE per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) ricorda che, diversamente da altri paesi del continente l’economia italiana non aveva recuperato prima del Covid nemmeno quanto ha perso nella crisi precedente, quella finanziaria e dei debiti sovrani iniziata nel 2007-2008. Ai suoi effetti si sono aggiunti quelli innescati dal congelamento delle attività economiche con le quali si è cercato di contenere la circolazione del virus. Un doppio colpo che, al netto delle conseguenze industriali e sul lavoro manifatturiero (basta vedere i primi licenziamenti di luglio), ha già prodotto l’aumento di un milioni di poveri assoluti in pin in soli dodici mesi.

QUESTE sono le stime: il Centro-Nord, con la ripresa 2021-22, recupererà integralmente il Pil perso nel 2020, mentre il Mezzogiorno a fine 2022 avrà ancora da recuperare circa 1,7 punti di pil che si sommano a circa 10 punti persi nella precedente crisi e non ancora recuperati. E questo avverrebbe nonostante una crescita del Sud all’1,6% nel 2021 e al 2,8% nel 2022 e dell’1,7% nel 2021 e al 3% nel 2022 nel Centro-Nord. Nel 2021 il Pil nazionaledovrebbe aumentare del 4,7%; in maniera più accentuata al Centro Nord +5,1%, mentre nel Sud è previsto a +3,3%. Nel 2021 la crescita è trainata da export e investimenti. Per Centro-Nord soprattutto macchinari, per Sud le costruzioni. Nel dettaglio: Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia dovrebbero conoscere in entrambi gli anni variazioni nella crescita degli occupati superiori alla media del Mezzogiorno; la Basilicata supererebbe tale media nel 2021 ma non nel 2022; Calabria e Sardegna si attesterebbero su livello superiori al Mezzogiorno solo nel 2022.

LA CHIAVE dell’anticipazione del rapporto sta nell’interpretazione degli effetti che produrranno nel Sud e nelle Isole lo stanziamento di 82 miliardi di euro, il 40% dei 191 miliardi del piano di ripresa e resilienza contributo del Piano Nazionale di Ripresa) e Resilienza. Queste almeno sono le cifre che il governo sostiene di avere stanziato. I fondi, sostiene la Svimez, sono significativi, ma non sufficienti per compensare la minor crescita tendenziale del Mezzogiorno e delle isole. Nel rapporto si insiste sull’immediato rafforzamento del ruolo degli enti locali e regionali del Mezzogiorno e su coordinamento con il livello centrale in modo tale da superare la frammentazione e l’autoreferenzialità attuale, soprattutto a livello regionale. Sotto la brace arde più che mai il fuoco della contrapposizione tra governo e amministratori locali esplosa nella fase più drammatica della pandemia.

SVIMEZ PROPONE la costituzione di centri di competenza territoriale, formati da specialisti nella progettazione e attuazione delle politiche di sviluppo, anche in raccordo con le università presenti nel territorio, in grado di supportare le amministrazioni locali, e in particolare i comuni». Il governo dovrebbe rendere certo il rispetto del vincolo di spesa “media” del 40% per assicurare il conseguimento di quote di spesa aggiuntiva su singole misure. Ed è altrettanto evitare che la più bassa capacità progettuale delle amministrazioni meridionali determini il paradosso che le realtà a maggior fabbisogno finiscano per beneficiare di risorse insufficienti.

DALLA RISOLUZIONE, non certo scontata, di questi problemi dipendono gli effetti delle politiche espansive immaginate dal governo già a partire dal 2021-2022, e per i cinque anni successivi. Il rischio è vanificare un maggiore effetto degli investimenti a Sud pari all’8,5% contro il 4,9% nel Centro-Nord già nel 2021.