Dopo quattro mesi senza una chiara maggioranza politica, le trattative per la formazione del governo in Svezia potrebbero concludersi: un voto parlamentare si esprimerà venerdì sull’ultimo tentativo del primo ministro uscente, il socialdemocratico Stefan Löfvén, di proseguire l’esperienza di governo. Negli ultimi giorni, Löfvén aveva raggiunto un accordo con i verdi, suoi alleati, e con due dei partiti che compongono l’Alliansen, il blocco di centrodestra alternativo alla coalizione rosso-verde: senza entrare nella coalizione di governo, i liberali e il Centerpartiet (partito di centro) hanno accettato di dare l’appoggio esterno a un esecutivo socialdemocratico-verde, vincolato però a dei significativi punti di programma.

Il contenuto dell’accordo ha aperto un acceso dibattito nel Vänsterpartiet (partito di sinistra), che avrebbe i numeri per far mancare la fiducia a Löfvén. L’accordo contiene infatti una clausola inconsueta che stabilisce esplicitamente che «il Vänsterpartiet non avrà alcuna influenza sulla direzione politica in Svezia nella prossima legislatura». Coerente con le dichiarazioni dei politici centristi, che da mesi descrivono la formazione di sinistra (ex-comunista, oggi si autodefinisce socialista, femminista e ambientalista) come «populista» e speculare ai nazionalisti di destra, la clausola – ampiamente criticata dai commentatori di diversi orientamenti politici – è parsa a molti uno stratagemma per affossare definitivamente Löfvén e poter ripiegare sull’opzione del cosiddetto governo «blu-bruno», cioè una coalizione di centrodestra con l’appoggio esterno dell’estrema destra.

Dopo una prima dichiarazione negativa, Jonas Sjöstedt (segretario del Vänsterpartiet) ha però cambiato idea ieri, dopo un nuovo incontro con Löfvén, dove ha ricevuto rassicurazioni sulla disponibilità dei socialdemocratici a preservare alcune riforme della legislatura precedente e a proseguire la collaborazione con il Vänsterpartiet. Sjöstedt ha quindi annunciato un’astensione per permettere la formazione di un nuovo governo, promettendo però di arginare la svolta liberista e di proporre una mozione di sfiducia nel caso in cui Löfvén porti avanti alcune riforme particolarmente controverse evocate dall’accordo con i centristi.

Le riforme su cui Sjöstedt minaccia esplicitamente un’eventuale sfiducia sono due. La riforma del sistema degli affitti, dove l’accordo prevede una forma di liberalizzazione del mercato (ora strettamente regolamentato), ridefinendo le procedure di negoziazione degli affitti a favore dei proprietari immobiliari; e la riforma del mercato del lavoro, dove l’accordo prevede una riduzione dei costi di licenziamento e maggior discrezionalità da parte del datore di lavoro (in particolare tramite la riduzione dei vincoli legati all’anzianità sul posto di lavoro). Altri punti molto criticati a sinistra sono le modifiche alla fiscalità a favore dei redditi più alti, e la rinuncia a limitare i profitti dei privati nel settore dei servizi sociali e di welfare (salute e scuola prima di tutto), dove gli effetti negativi delle privatizzazioni sono rilevati da molti analisti. Il sociologo Göran Therborn identifica in questo accordo una forte spinta all’aumento delle disuguaglianze in una società che dagli anni ’80 vede «una rampante divisione in classi e il maggior approfondimento delle disuguaglianze nonché aumento della povertà relativa del Nord Europa». Questa è la ragione per cui Therborn e altri commentatori auspicavano un «no» del partito di sinistra. Il Vänsterpartiet ha invece optato per un «sì» per scongiurare l’eventualità di un governo sostenuto dell’estrema destra: un sì, però, che potrebbe venire meno se alcune «linee rosse» venissero superate.