Ritorno a Venezia Salva, dieci anni dopo. Serena Nono, regista e pittrice veneziana, ri-prende il suo film del 2013, lo ri-guarda, scompone e ri-compone in dialogo con un suo «seguito» oggi. Ovvero, immaginare un nuovo capitolo per uno dei personaggi di quel testo. In Venezia Salva eravamo nella città lagunare nel 1618. In Sventura (che sta iniziando dopo l’anteprima al Trieste film festival un suo percorso di proiezioni e incontri), siamo nel 1640 e Jaffier (l’attore e artista romeno Nicola Golea) – ex capo dei congiurati che salvò Venezia denunciando al governo la congiura spagnola per occupare la città, bandito dalla Repubblica Serenissima per alto tradimento, scampato alla condanna a morte e deportato su una nave – ha trovato riparo su un’isola veneziana deserta, «morto ma ancora vivo», dove trascorre in esilio la sua esistenza in preda ai ricordi. I fantasmi dei personaggi che conobbe lo vengono a visitare, muti, ma con voci interiori che lo interrogano, che emergono dalla sua mente, in uno stato di malessere profondo e senza fine.
Nono fa dialogare le sue immagini di ieri e di oggi grazie a un lavoro teorico che si fonda sulle sovrimpressioni. I set del passato e l’isola del presente vengono inghiottiti e ri-dati dalla laguna, dalla nebbia, dai pali conficcati nell’acqua nelle flagranti immagini che, soprattutto all’inizio, conquistano le inquadrature – esplorazione atemporale, fuori dal set in costume, di luoghi acquatici e architettonici, dettagli di statue e di edifici, alfine di comporre incanti del vedere, suggestioni, stupori.

SI CREA UN FLUSSO lieve che si mantiene anche quando quei luoghi sono poi assenti, perché esso permane nelle dissolvenze incrociate costruite come passaggi liquidi nel descrivere, invece, una materia densa ma sempre intrisa di uno strato respirante che libera le immagini appartenenti a tempi diegetici diversi.
Tra le figure «convocate» da Jaffier nella sua erranza di sofferenza, disagio, dolore, ecco apparire sull’isola disabitata anche quella di una donna anziana (Nuria Schönberg Nono). Personaggio che avanza scalzo sulla terra nuda, il volto e le mani antiche, filmato e accarezzato dallo sguardo della regista con tenerezza e amore. Era la mendicante che, appoggiata al muro di un palazzo, osservava lo svolgersi dei fatti in Venezia Salva . E qui si manifesta un altro elemento essenziale di Sventura: il tempo che si incide sui corpi degli attori (tra cui David Riondino) e delle attrici che ricompaiono a dieci anni di distanza, invecchiati, modificati, e che il cinema mette a confronto.
Sventura è un film di luce e di buio, di nuvole e di cieli infuocati, che ospita dipinti anch’essi inscritti in cromatismi incendiari, febbricitanti. L’isola diventa un labirinto mentale e fisico, un groviglio nel quale addentrarsi, inciampare, fare degli incontri inattesi. Meravigliose, al riguardo, le apparizioni di un gatto che entra in un’inquadratura e l’attraversa noncurante delle altre presenze o di un cane che gironzola nella notte e sul cui aggirarsi il film si chiude o, meglio, si sospende in un’ultima, e ancora liquida, tangibile e sfuggente, epifania visiva.