Da otto milioni di anni i castori costruiscono dei paesaggi acquatici e proteggono le zone umide. Che, davanti alla crisi climatica, sia più saggio delegare le decisioni ai castori – esperti confermati d’idrologia – piuttosto che alla geo-ingegneria? Che le loro dighe siano da privilegiare rispetto ai megabacini che prosciugano le falde acquifere, privatizzano le risorse d’acqua naturale e mettono in pericolo diverse forme di vita? Che questi tecnici idraulici animali, specie protetta in molti paesi dopo aver sfiorato l’estinzione, siano in grado non di restaurare ma di rigenerare i fiumi? Il ruolo dei castori è del resto riconosciuto persino nel rapporto dell’IPPC (principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici) del 2022.

Sono queste alcune riflessioni che sorgono davanti a L’effet castor (2023) di Suzanne Husky (1975), parte di un insieme di acquarelli ora esposti in Le temps profond des rivières (Drawing Lab, Parigi, fino al 7 aprile, catalogo in corso di pubblicazione con un saggio di Baptiste Morizot). Di castori si sente parlare solo quando, con finalità spesso antitetiche, si prendono come modello di vivente che agisce, trasforma l’ambiente in cui vive e crea il suo habitat, costruendo le famose dighe e rosicchiando il tronco degli alberi. Non è la posizione della franco-americana Husky che ha una formazione, rara tra gli artisti europei, in agro-ecologia, oltre a essere attenta lettrice di Starhawk e teoria eco-femminista, vicina agli ambienti militanti, conoscitrice di permacultura e altri saperi della terra. Da circa tre anni moltiplica le mostre sui castori europei o Castor fiber, utilizzando diversi medium, video incluso, con una predilezione per l’acquerello come L’effet castor, da cui emergono due aspetti.

Il primo è la tecnica utilizzata: gli acquerelli sono infatti molto diluiti dall’acqua di fonte – un elemento che viene rappresentato nei paesaggi fluviali di Husky ma che agisce concretamente sul supporto, decolorandolo e rendendolo subito riconoscibile. Persino l’uso di un foglio lungo oltre sette metri, riferimento all’arazzo di Bayeux, richiama il corso del fiume. Il secondo elemento è legato alle conoscenze scientifiche dell’artista che affiorano nelle didascalie che accompagnano i disegni e c’informano, ad esempio, come nel Mesolitico il castoro ha facilitato l’insediamento umano in habitat d’abbondanza, o come dopo la Glaciazione Würm era cinquanta volte più numeroso degli umani. Ma, al di là di una libera ispirazione all’illustrazione scientifica, Husky dà anche voce alla sfera onirica, se pensiamo a quel gruppo di castori impegnato a pagaiare a bordo di una canoa.

I suoi disegni contribuiscono così alla scrittura di un’ampia storia del vivente. Grazie a L’effet castor ci rendiamo conto che l’ecosistema delle zone umide è molto più complesso di come l’ha restituito la pittura di paesaggio. A suggerirlo è Lauranne Germond, curatrice della mostra, secondo la quale questa tradizione ha veicolato delle «rappresentazioni semplificate dei corsi d’acqua» che sta ora alle arti visive modificare. Altissima è, al riguardo, l’ambizione di Husky, al di là della sfera artistica: imparare a leggere – e quindi a difendere – il tempo profondo dei fiumi (come recita il titolo della mostra) al fine di stabilire un’alleanza col popolo castoro.
Braccato per secoli per le pellicce, le carni e il Castoreo (una sostanza oleosa derivata dalle sue ghiandole), questo roditore vegetariano è in realtà un garante di biodiversità, della salute delle zone umide, di pesci, anfibi, insetti e uccelli, della vegetazione ripariale, nemico giurato d’ogni tentativo di canalizzazione dei corsi d’acqua. «Costruttori di mondi multispecifici» (Morizot), i castori sono i nostri alleati.