In Cina un nuovo caso di morte per il superlavoro ha infiammato gli utenti del web. Questa volta tocca alla piattaforma di video streaming Bilibili, nata nel 2009 per contenuti ACG (Anime, Comics, Game) e che conta ad oggi oltre 54 milioni di utenti attivi al giorno, l’85% dei quali è under 35.

A riportare l’accaduto, per primo, un noto influencer cinese, che il 7 gennaio ha diffuso sul social media cinese Weibo una serie di screenshot di messaggi che gli erano stati mandati in privato e che raccontavano tutti la stessa versione della tragedia: un venticinquenne a capo di un team di revisori di contenuti nella sede di Bilibili a Wuhan sarebbe morto la notte de 4 febbraio per emorragia cerebrale, dopo aver concluso un turno notturno di dodici ore. Pare che la società abbia tentato di nascondere la notizia del decesso. “Non siamo in molti a saperlo”, si legge in uno dei messaggi, il mittente del quale afferma di essere un collega della vittima.

Una ricostruzione che ha riacceso il dibattito sulle conseguenze della cultura del superlavoro, contestata da un numero sempre maggiore di “colletti bianchi” operativi nell’ambito tecnologico cinese. E che non ha coinciso con quella proposta nella dichiarazione pubblicata da Bilibili il giorno seguente, che ha parlato della tragedia come di “un campanello d’allarme” ma ha respinto la correlazione tra il decesso e gli stressanti ritmi di lavoro. Il dipendente, entrato in azienda nel maggio del 2019, avrebbe lavorato in conformità con la legge, non oltre le quaranta ore settimanali.

Ma questa versione dei fatti non ha convito un gran numero di utenti, tra chi ha denunciato i ritardi della dirigenza nel prendere contatti con i familiari della vittima e chi ha tacciato l’azienda di aver censurato i commenti polemici. “Date la notizia della morte di un vostro dipendente solo quattro giorni dopo, e alle undici di sera?”, ha commentato un utente sull’account Weibo della società, a cui la persona in carico ha risposto di essere disposta a fare gli straordinari – che ironia! – se significava fare il meglio per il collega defunto.

Altre critiche sono emerse, lo riporta il sito cinese Jiemian News, quanto ci si è accorti che negli annunci per la posizione di revisore per Bilibili si parla di un lavoro “ad alta intensità”, con diffusi turni di dodici ore. Pare sia la norma per una mansione che si attesta nel gradino più basso nelle professioni da società tech, al pari di quelle che rientrano nelle cosiddette “Hits” (Human intelligence tasks) – una serie di micro attività digitali ripetitive che integrano le capacità dell’intelligenza artificiale, subappaltate a un esercito di lavoratori crowdsourced.

E che, soprattutto, ha ricoperto un ruolo sempre più importante nell’ottica di Pechino di rettificare i contenuti delle piattaforme del paese e allinearli a messaggi più aderenti alla narrazione ufficiale. A China Digital Times, sito statunitense che indaga il web cinese, un revisore ha detto di sentirsi come la versione virtuale di un impiegato alla Foxconn, azienda taiwanese contractor di Apple tristemente nota per la serie di suicidi del 2010.

Ma la proliferazione di professioni di questo genere ha interessato anche società come Twitter, YouTube e Facebook, che hanno implementato gli sforzi per contrastare la diffusione di contenuti indesiderati. Nel 2020, un gruppo di revisori ha vinto una vertenza storica contro la società di Zuckerberg, costretta a risarcire per oltre 50 milioni di dollari i dipendenti che avevano sviluppato un disturbo da stress post-traumatico (PSTD) a causa della natura ripetitiva del lavoro e della continua esposizione a contenuti dannosi, come video di suicidi e violenze su minori.

Le conseguenze del superlavoro non sono solo una prerogativa cinese e, allo stesso tempo, anche nel paese asiatico governo e imprese non rimangono del tutto sordi alle richieste dell’opinione pubblica. In risposta alle recenti polemiche, Bilibili ha comunicato che assumerà altri mille revisori e che provvederà a monitorare la salute fisica dei lavoratori.