I risultati dei controlli effettuati nelle scorse settimane dai carabinieri del Nas su 237 Rsa, Case di riposo e comunità di alloggio, sono alquanto inquietanti. Le ispezioni volute dal ministro della salute, Roberto Speranza, hanno evidenziato gravi irregolarità amministrative e sanitarie e, anche, illeciti penali. Sono state rilevate strutture in stato di degrado, con locali inadeguati, livelli di assistenza insufficienti, operatori poco qualificati o senza possesso dei titoli professionali, sovrannumero di ospiti rispetto ai posti letto autorizzati. Sono stati trovati cibi e farmaci scaduti, diffuse carenze igienico-sanitarie, mancanza di igiene nella preparazione dei pasti, casi di maltrattamento, di omissione di soccorso, di abuso nella somministrazione dei farmaci.

Enti locali e regioni, per questo “servizio”, in base alle convenzioni pubblico-privato, pagano mediamente 1800-2000 euro per ospite e più o meno la stessa cifra viene versata dalle famiglie. Siamo in presenza non solo di gravi trasgressioni normative, ma anche di una intollerabile violazione della stessa dignità umana. Senza differenze sostanziali tra Nord e Sud. Certo non tutto è nero. Vi sono strutture dove si fa un buon lavoro o senza criticità particolari, ma il quadro complessivo delineato dai rapporti del Nas ci consegna un’immagine più vicina agli ospizi dell’800 e del ‘900, che non alla realtà di un paese civile e moderno.

Di fronte a fatti così chiari e incontestabili si tratta di decidere se le Rsa e strutture similari siano la risposta giusta ai bisogni della popolazione anziana o, al contrario, rappresentino una risposta culturalmente e socialmente arretrata, che trova giustificazione unicamente nella carenza drammatica di assistenza domiciliare, di centri riabilitativi e, più in generale, di servizi socio-sanitari sul territorio. È questo il welfare che vogliamo dopo la drammatica esperienza di questi mesi?

Gli imprenditori della silver economy, così la chiamano, non hanno dubbi. L’Italia passerà dagli attuali 7 milioni di over 75 agli 8,2 milioni del 2030 (dati Istat) e la multinazionale Korian, azienda leader delle case di riposo, si prepara a investire per soddisfare una domanda in forte espansione. Già ora per i big del settore le Rsa rappresentano su scala europea un rilevante business, con un fatturato di oltre 15 mila miliardi di euro. L’ad di Korian Italia, Federico Guidoni, ha annunciato lo sviluppo della rete di Rsa, nonché la realizzazione di una “filiera della cura” fatta di assisted livings (appartamenti protetti), di poliambulatori e servizi vari sul territorio. Diversificazione dell’offerta, dunque, e tentativo di sfruttare a proprio vantaggio le risorse assegnate alla terza e quarta età dal Piano di ripresa e resilienza.

Si apre dunque una sfida molto importante sull’indirizzo da seguire. Monsignor Vincenzo Paglia che presiede la commissione di lavoro sulla riforma dell’assistenza agli anziani presso il ministero della salute, pensa giustamente che la permanenza degli anziani, anche fragili, nella propria casa non sia un’ «utopia». Egli sostiene che è il modello stesso di cura residenziale, in istituto, ad essere sbagliato e ad esporre gli anziani ad ogni genere di emergenza. Il punto centrale è appunto il passaggio dall’istituzionalizzazione attuale (residenze assistite e ospedali per lungo degenti) a un modello fondato su una pluralità di servizi sul territorio, su un continuum assistenziale che preveda, in primo luogo, una sanità vicina agli anziani, alle loro case, ai loro quartieri.

La priorità da affermare è una scelta politica chiara a favore dell’assistenza domiciliare, investendo nei servizi sociali, socio-sanitari, culturali e ricreativi sul territorio. Gli anziani soli, in maggioranza donne, soffrono i disagi dell’abitare nella città contemporanea, vivono una condizione di isolamento forzato e di perdita di relazioni. Aumentano con l’età anche i rischi di caduta o incidenti domestici. Il nuovo welfare significa intervenire su questo insieme di fattori che spingono all’istituzionalizzazione e allontanano le persone anziane dal proprio alloggio e dal proprio quartiere. Il ricovero in una Rsa o il ricorso a strutture riabilitative non va escluso in ultima istanza, nei casi più gravi, mettendo in conto, però, il ritorno a casa appena possibile.

Rispetto alla situazione attuale, le Rsa vanno radicalmente ripensate e riqualificate, diventando una parte e non il tutto dell’assistenza agli anziani. La sfida presuppone una battaglia politica e culturale contro l’ideologia dello “scarto”, alla base del successo delle Rsa in Italia e in Europa. Come si è lasciato sfuggire il presidente della Liguria, Giovanni Toti, gli anziani «non sono utili allo sforzo produttivo del paese». Così la pensano gli apologeti del sistema capitalistico, i cantori di una società fondata sul mito della velocità, della massima produttività e del successo.