Gli artisti medievali e moderni sono entrati nella storia grazie a una letteratura che li ha tramandati, raccontandone natali, percorsi e aneddoti. È pensabile un’edizione delle Vite (Vasari) riportata ai giorni nostri?
La condizione sarebbe che pittori, scultori e performer fossero ancora leggendari, nel senso di Kris e Kurz, cioè personalità saturnine, con fattori genetici e caratteriali determinanti, associati alla creazione di immagini come forma particolarissima di magia. Quanti dei più acclamati, oggi, fanno magia con le immagini?

IL SISTEMA DELL’ARTE contemporanea, che prescrive l’ingresso dentro specifici circuiti, la frequentazione di salotti, la partecipazione a eventi e cene, ha sostituito l’artista leggendario con l’artista mondano.
Nella scala di valori la «trovata», possibilmente concettuale, funziona meglio dell’invenzione, i perituri successo e trionfo contano più degli imperituri fama e gloria e l’intervista più del racconto biografico, quando non addirittura più dell’opera: l’artista che parla della sua opera, prima, durante e dopo averla esposta, garantisce all’immagine di sé una circolazione immediata, mentre passa sotto silenzio chi non si adegua, anche il talentuoso che un tempo sarebbe stato destinato alla «leggenda». Si tratta di capire se questo sistema ci piace o no.

PULIAMOCI GLI OCCHI dalle trivialità e proviamo a cercare l’arte nella «maestria» (Gombrich). Se, in mezzo a tanta industria dell’intrattenimento, abita ancora questo mondo, la riconosceremo dagli effetti passionali e cognitivi che fa. Un’illuminazione arriva visitando la mostra di Roger de Montebello a Venezia, Museo Correr, durante l’estate e fino al 10 settembre.

LA PERSONALE, curata da Jean Clair con la direzione scientifica di Gabriella Belli, si colloca nell’ambito della terza edizione di Muve Contemporaneo. Raccoglie 389 lavori dell’artista sui temi rappresentativi della sua poetica: la veduta veneziana, la corrida spagnola, il ritratto. Uno speciale portfolio, con tavole a colori e testi di Gabriella Belli e Jean Clair, dà risalto a questa triplice scelta.

IL FRANCO-AMERICANO Roger de Montebello dipinge en plein air, direttamente sulla tela senza disegni preparatori né ritocchi. La cupola della chiesa della Salute, il corpo di Punta della Dogana che si allunga tra il Canale della Giudecca e Canal Grande appaiono isolati, depurati rispetto all’apparenza reale, eleganti in un timbro freddo che va dal blu cobalto all’azzurro, in rima, dell’acqua e del cielo al bianco dell’aria. Paesaggi armoniosi, riconciliati nel rapporto architetture-riflessi, a tutti gli effetti apollinei. Viceversa le scene di corrida risultano dionisiache: catturano la frenesia della lotta fra torero e toro con pennellate rapide, pastose, quarantacinque minuti ogni quadro. I ritratti, infine, sono tutti in primo piano e frontali, discorsi a tu per tu contingenti, in metamorfosi e quindi spesso incompiuti, imperfetti.

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JEAN CLAIR CONSIDERA la storia di Venezia e le sue letterature, fino a spiegare il legame con la tauromachia spagnola ricordando il rito della «caccia al toro» , fulcro del carnevale lagunare fino al 1800. Ma partire dalla realtà – di Venezia, della corrida spagnola, della persona ritratta – per leggere l’arte è fuorviante. L’arte deve consentire di pensare altrimenti e «oltre-mente» una realtà di per sé intrisa di senso, dotandola di potenza immaginifica.
Così la città nell’acqua, «mondo autosufficiente» per Roger de Montebello, il combattimento con il toro, «secondo laboratorio», «forma condensata della nostra esistenza» per usare le sue parole, il ritratto di faccia sono esperimenti di pensiero (Gedankenexperimenten): hanno in comune il farci entrare nel tempo fisico del flusso per avvertire a pelle il legame profondo con l’alterità, naturale – Venezia – animale – la corrida – e umana – il ritratto – e rischiare di perire al suo interno.

È un’«anamnesi» (Lyotard) del modo in cui questi soggetti sono stati raffigurati nella realtà del passato, da Canaletto e Guardi, da Goya e Picasso, per esempio. Roger de Montebello li rivede, nella sua modernità riflessiva, attualissima, come espressione di attimi in bilico tra la vita e la morte. Lo spettatore è d’un tratto situato, instabile, dentro mondi del trapasso, dalla terra all’acqua (Venezia), dal movimento alla stasi (la corrida), dall’io al tu (il ritratto), con la vertigine euforica ma anche il brivido del non ritorno. Sortilegio della pittura. Qui non si tracciano confini tra «finzione» e «realtà».

Le varianti dei tre temi sono tante, perché la poetica dell’artista funziona nella serialità: si cerca ovunque una linea dell’orizzonte che continua a mancare grazie a ripetizioni e differenze che ne marcano l’assenza. Motivo architettonico prediletto è il portale della chiesa delle Terese che dà sul piccolo rio a Dorsoduro: sempre in vibrazione e stagliata al di là di un’acqua contigua allo spettatore, simbolizza il passaggio.

DE MONTEBELLO SCEGLIE formati grandi, che fanno vivere il trapasso con la sensazione del respiro e della libertà, o al contrario molto piccoli, 16x 22 cm. Un amico ha appositamente fabbricato per lui una scatola in legno, un dispositivo portatile, per dipingere all’aperto e sistemarvi dentro, uno accanto all’altro, almeno dieci esemplari. Il «micro», da un lato, agevola il triangolo di esecuzione dell’artista, mano-occhio-supporto pittorico, e gli permette di ottenere intensità e coerenza; dall’altro favorisce concentrazione e intimità in chi guarda. Questi piccoli quadri sono come foto o gioielli: leggeri, trasportabili, pratici da donare e ricevere.

Oggi ormai Venezia è un soggetto per pittori dilettanti, per apprendisti. Nessuno crederebbe che un artista possa ancora rivelarla nuova, che la sua forza iconica non si sia esaurita nelle migliaia di pennellate che l’hanno ritratta nei secoli. Ma De Montebello vive di incredibile: correla forme del contenuto e forme dell’espressione, trasformando l’esistente. Si comincia da qui per diventare, anche solo confidenzialmente, leggendari.

SCHEDA

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Roger de Montebello è nato a Parigi nel 1964, in un ambiente familiare sensibile alle arti. Il suo omonimo nonno, fisico americano, ha progettato per Salvador Dalí una versione rivisitata dello stereoscopio del 1830 di Sir Charles Wheatstone, con specchi in grado di dare tridimensionalità alla scena e presentarla da punti di vista diversi. Lo zio, Philippe de Montebello, storico dell’arte, ha diretto a lungo il Metropolitan Museum of Art di New York; la zia, Marie-Laure de Noailles, è stata una delle più audaci e influenti mecenati del Surrealismo. Roger comincia a dipingere all’età di due anni e capisce di non potere smettere quando conosce l’opera di Jackson Pollock, a sedici. Si trasferisce a Siviglia, per studiare disegno e pittura alla Facultad de Bellas Artes, e poi ad Harvard, dove consegue la laurea in storia e teoria dell’arte nel 1988. Suo zio lo convince ad andare in quella direzione, controcorrente rispetto alla giovane arte newyorkese di fine ’900: «Acquisisci una solida educazione e buone basi intellettuali in storia dell’arte. Un pittore istruito sarà sempre migliore di uno ignorante». Gli anni Ottanta – così come prima la pop art, il minimalismo, l’espressionismo astratto – lo mettono a disagio. Decostruire la forma, quando è troppo, finisce con l’essere una scappatoia. Lui, invece, vuole ricostruire. Torna allora in Europa, a Parigi, Istituto di studi politici Sciences-Po, e approfondisce la sua personale visione dell’arte, che è unicamente pittorica: la pittura gli permette il corpo a corpo con la realtà e insieme la strutturazione del pensiero. Scopre Venezia come luogo ideale per le proprie creazioni. Dal 1992 sua abitazione e sede dell’atelier è Palazzo Contarini Polignac. In una sala dalla grande vetrata affacciata su Canal Grande, De Montebello, che lavora tantissimo, ha collocato i suoi quadri, appesi fino al soffitto. Per dipingere la corrida dal vivo ha attraversato città e villaggi della Spagna per dieci anni, sedendosi sulle gradinate tra gli spettatori. Nel 2011 ha partecipato alla Biennale Arte di Venezia con l’evento collaterale Montebello-Megachromia (Alliance française de Venise, Casino Venier), interpretazione astratta e fotografica di un piccolo action-painting figurativo, di formato 1-Figure (16x22cm). Questa al Correr è la prima personale in un museo italiano.