La seicentesca compagine museale di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco si trova lungo il Decumano Maggiore, l’attuale via dei Tribunali nel cuore del centro storico. L’espressione ‘ad Arco’ rimanda alla presenza di una torre medievale, ormai scomparsa, a forma arcale, per l’appunto, tra via Tribunali, via Nilo e via Atri. A Napoli è nota come «’a cchiesa d’ ’e ccap’ ’e morte» perché, fuori al cancello della facciata di Cosimo Fanzago, da entrambi i lati sono disposti due stele con sopra teschi e tibie incrociate in bronzo, spesso ornati di fiori freschi, che richiamano inevitabilmente l’attenzione del passante. Il complesso comprende la chiesa, il museo dell’Opera e l’ipogeo. Sorto intorno al 1616 su iniziativa di alcuni nobili che volevano dare sepoltura alle persone povere della città, senza casa né famiglia, offre la straordinaria opportunità di conoscere l’antico culto delle anime del Purgatorio. La chiesa, posta nella parte superiore, rappresenta il mondo dei vivi, mentre l’ipogeo, nella parte inferiore, quello dei morti. È ricca di simbologie mortuarie. Si notano subito, difatti, le preziose tele di Luca Giordano, Andrea Vaccaro e Massimo Stanzione, e non passa inosservato il complesso marmoreo del ‘teschio alato’, opera di Dionisio Lazzari, raffinato scultore napoletano dell’arte barocca. La parte più incantevole della chiesa è l’ipogeo, luogo di culto delle anime del Purgatorio o anime pezzentelle. Rito praticato in primis dalle donne.

Cape ’e morte
La pietas popolare si prende cura di crani anonimi riposti in cassettine di compensato, dette scaravattole, e adagiati su cuscini di stoffa rossa. Appartengono a coloro i quali è stata destinata una morte violenta e spesso è stata negata la sepoltura; sono gli appestati, i giustiziati, gli assassinati. Il culto, malgrado i divieti imposti dall’autorità ecclesiastica, è presente tutt’oggi e conferma la stretta relazione che c’è sempre stata tra i napoletani e la morte. Questo rito, infatti, prevede l’adozione e la cura di un cranio, in cambio di protezione e di grazie per l’adepto. Il giorno rituale dedicato a tale culto è principalmente il lunedì, sin dall’antichità giorno consacrato alle divinità del sottosuolo, in particolare a Ecate, la dea lunare del regno degli inferi. L’ipogeo è un luogo liminare ovvero una zona posta tra luce e oscurità, tra pagano e cristiano, tra sonno e veglia, tra memoria e oblio, tra devoto e anima prescelta, e serve a de-tabuizzare la paura della morte. Perché, proprio come sostiene il M° Roberto De Simone, «l’angoscia di morte oggi è più che mai presente nella società, né è stata eliminata, né sarà mai possibile eliminarla».

Lucidare le capuzzelle
Ogni luogo custodisce una o più figure considerate importanti, identificate con una storia mitica che crea il culto, la leggenda. Nell’ipogeo di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco ce n’è una che è oggetto di particolare venerazione: è il teschio di Lucia che giace con il velo da sposa ed è ornato con una preziosa corona. A lei vengono raccontate le sofferenze sentimentali e la smania di trovare l’amore. Altri crani oggetto di culto sono i Soldati, il Dottore, il Monaco. Nell’immaginario collettivo, tali figure sono presenze misteriose e soccorrevoli che occupano le viscere – corpo e psiche – di Partenope/Neapolis. La gestualità consiste nel toccare le mura, baciare le nicchie, pulire e lucidare le capuzzelle, accendere lumini, portare i fiori, farsi il segno della croce e recitare litanie. «I morti, così, finiscono per divenire paradossalmente una fonte di rassicurazione per i vivi, attraverso il rinnovarsi periodico e stereotipo del rituale di accudimento e di evocazione» dice l’antropologa Patrizia Ciambelli. Le grate disposte sulla parte alta delle pareti consentono a tutti di scorgere l’ipogeo dalla strada, e ciò fa sì che il culto delle anime pezzentelle possa essere coltivato dai fedeli sia di giorno che di notte attraverso voci, lamenti, invocazioni, rumori underground. Una metastorica teatralità quotidiana.

Ieri e oggi
Suggestioni arcaiche. Le stesse che si percepiscono mentre si è attraversati dai suoni dell’opera «Nuova Repubblica Napoletana», installazione sonora realizzata dall’artista Marco Messina, componente dei 99 Posse, nell’ipogeo di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco. L’installazione è curata da Maria Teresa Annarumma con la consulenza tecnica del professore e ingegnere del suono Alberto Geatti ed è prodotta dall’Opera Pia Purgatorio ad Arco onlus. Si può visitare fino all’8 giugno. È un’opera stupenda che rientra nel progetto «Comizi di donne», ispirato a Pier Paolo Pasolini a 100 anni dalla nascita. È ideata per immaginare una nuova Napoli; una rigenerazione che principia dalle tradizioni per contaminarsi con la contemporaneità, e che conferisce alla donna un ruolo primario all’interno della società.

L’artista, docente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, ha composto un’opera di quattro ore, e s’è avvalso della collaborazione di un gruppo di studenti del corso di Fotografia e Cinema dell’Accademia. Uno dei punti di partenza di Messina è La Gatta Cenerentola del già citato M° Roberto De Simone, un’opera teatrale dove tradizione e contemporaneità sono armoniosamente compresenti. «Nuova Repubblica Napoletana» parla, appunto, di una Napoli che non rinnega la tradizione, bensì la spoglia di tutti quei pregiudizi maschilisti ancora così massicciamente presenti e invasivi nella società odierna, da annientare le donne.

Città delle donne
Messina, passando per i canti popolari e i princìpi di Marx e di Engels, concepisce la propria opera come un manifesto ideato per la repubblica delle donne ovvero la «Nuova Repubblica Napoletana».
È tempo di dar loro voce, di ascoltarle e di prestare attenzione alle loro vicende. L’attenta analisi che Pasolini faceva sul lavoro si rivela mestamente attuale e sottolinea che le donne ancora oggi sono vittime di sfruttamento lavorativo, di divari sociali, di soprusi fisici e psichici. Se ai tempi dello scrittore friulano la società schiacciava la classe operaia, oggi schiaccia le donne, o almeno gran parte di loro. È indubbiamente una conseguenza causata dalla possente disparità che s’è creata tra i ricchi e i poveri, e che non accenna a diminuire. L’opera, ideata nel pieno rispetto del complesso museale, è un monito alla città. Bisogna creare le condizioni affinché si possa vivere in una società senza disparità socioculturali, e affinché il capitalismo inneggiante al consumismo più frenetico e al falso benessere non annienti l’identità partenopea.