La situazione del trasporto ferroviario in Italia è un’immagine perfetta di quelle disuguaglianze territoriali e sociali che il Presidente della Repubblica Mattarella, nel suo secondo discorso di insediamento alla Camera, ha indicato come il freno di ogni prospettiva di crescita. Mentre in una parte del Paese si può infatti usufruire di treni moderni ad alta velocità, che dal 2009 hanno avuto una crescita dei passeggeri del 114%, nel resto del territorio l’unico servizio di lunga percorrenza disponibile, quello garantita dai treni Intercity, vede un crollo del 47%. Semplicemente perché l’offerta dei primi è cresciuta in modo esponenziale, mentre quella dei secondi si è ridotta lasciando interi territori praticamente senza treni.

STESSA SITUAZIONE E PER LE MEDESIME RAGIONI la si trova anche negli spostamenti in treno all’interno delle Regioni, con Campania, Molise, Abruzzo, Calabria, Basilicata dove è diminuito il numero di persone sui convogli, per la riduzione del servizio, e altre in cui sono cresciuti fortemente come in Lombardia, Alto Adige, Puglia, Toscana. Uguale andamento nelle città, con da una parte Milano e Firenze, dove investimenti e qualità del servizio sono premiati dai cittadini e prima della pandemia i numeri erano in forte crescita, e dall’altra tutte le altre con risultati imbarazzanti e aziende in crisi.

UNA ANALISI AGGIORNATA DELLA SITUAZIONE del trasporto ferroviario in Italia la troviamo nel nuovo rapporto Pendolaria di Legambiente che, oltre a raccontare il calo degli spostamenti dovuto alla pandemia e i disagi per l’affollamento e il rischio contagi su molte linee dei pendolari, propone un’analisi del recovery plan e degli investimenti senza precedenti previsti. Sono infatti 700 i chilometri di nuove linee ad alta velocità nel piano, oltre 1.600 chilometri di rete ferroviaria che verranno elettrificati e poi potenziamenti ai collegamenti trasversali e alle linee regionali, nuovi treni elettrici e a idrogeno.

PROPRIO ALLA LUCE DI QUESTO SCENARIO occorre aprire una riflessione su come rendere il nostro Paese davvero più moderno e giusto dopo il recovery plan. Per questo non basta vigilare sui cantieri – da chiudere entro il 2026 per non perdere le risorse europee – ma occorre anche capire come tutti questi interventi siano davvero utili ad aiutare lo sviluppo economico dei territori, la transizione ecologica, l’attrattività turistica. Non è una sfida banale per un Paese in cui il dibattito politico ruota solo intorno agli elenchi di grandi opere e poco interessa cosa succederà su quelle nuove linee, o come risolvere i problemi che vivono milioni di lavoratori e studenti ogni giorno. Il rischio altrimenti è che Next Generation Ue sia l’eccezione, dovuta ai vincoli di Bruxelles che permettevano di finanziare solo infrastrutture green e che spingevano riforme nella direzione di una mobilità integrata e sostenibile. I segnali ci sono tutti, in Parlamento fioccano proposte di nuovi collegamenti ad alta velocità e autostrade, perché la mentalità è ancora quella dei tempi della Legge Obiettivo, e ora sembra di nuovo tutto possibile, perfino il ponte sullo Stretto di Messina. Proprio per questo è fondamentale approfondire i problemi della mobilità delle persone e delle merci per capire a che punto siamo nel costruire un’alternativa davvero competitiva nei confronti della gomma e uscire dall’ossessione dei cantieri.

NEL RAPPORTO PENDOLARIA 2022 IL PRIMO DATO che viene fuori è l’assenza di un progetto per le aree urbane, malgrado qui i problemi infrastrutturali esistano davvero con un enorme deficit di linee metro, tram e di treni suburbani, che sono poi la ragione di traffico e inquinamento, ma anche dei costi che devono sopportare studenti e lavoratori ogni giorno per spostarsi. Quanto previsto dal Pnrr e dai fondi nazionali non consente di recuperare ancora i ritardi e realizzare interventi che i cittadini di Roma, Napoli, Palermo, Bologna aspettano da decenni. La seconda grande questione che va ancora affrontata è come garantire che quando si arriva in stazione un treno lo si trovi davvero, che una volta scesi da una metro si trovi un autobus o una bici in sharing per pedalare su una ciclabile. Oggi in tante regioni e città rimane un sogno e non possiamo aspettare il 2026 per chiederci chi garantirà i treni sulle nuove linee nazionali e regionali, o come ridurre i tempi delle coincidenze.

IL MINISTRO GIOVANNINI HA ANNUNCIATO l’istituzione di una commissione, guidata da Salvatore Rossi già Direttore della Banca d’Italia, che dovrà preparare il nuovo Piano dei trasporti e della logistica e dobbiamo augurarci che la risposta a queste sfide sia al centro di questo nuovo strumento di programmazione atteso da molto tempo. La buona notizia è che le innovazioni che stanno procedendo veloci nella digitalizzazione e elettrificazione dei trasporti potranno aiutare a modernizzare e rendere più semplici gli spostamenti dentro le città e tra stazioni, porti e aeroporti, sia di persone che di merci.

MA DOBBIAMO SMETTERLA DI DARE RETTA AI MINISTRI Giorgetti e Cingolani sui rischi della transizione ecologica per il nostro Paese e metterci a lavorare per cogliere le opportunità che si sono già aperte di creazione di nuovo lavoro nelle fabbriche di treni e autobus elettrici, nella gestione di un sistema dei trasporti integrato che consenta possibilità di spostamento sempre più articolate e efficienti, a emissioni zero e in sharing. E a dimostrare quanto gli italiani siano pronti a lasciare a casa l’auto sono 46 storie di successo raccolte da Legambiente di treni e tram che – da Palermo a Firenze, da Catania a Bolzano – dimostrano quanto il cambiamento della mobilità sia a portata di mano se scegliamo di investire in progetti lungimiranti.

* vicepresidente nazionale Legambiente