Saranno venti anni che l’Europa continua a dire: Energy Efficiency First, prima di tutto l’efficienza energetica. Perché l’efficienza energetica è un fattore chiave per accelerare la transizione energetica. L’efficienza energetica è un elemento di decarbonizzazione ma è anche importante per la sicurezza energetica, visto che riducendo la richiesta di energia si diminuisce la dipendenza dalle importazioni di fonti fossili.

Sono anni che anche il nostro Paese ha effettuato investimenti attraverso i meccanismi di detrazione fiscale, come l’Ecobonus e il Superbonus, che solo nel 2021 sono stati pari a 24 miliardi di euro. Quindi, non è questione di accettazione di un modello. Se si è contrari all’efficienza energetica e alle sue modalità, si nega l’importanza del processo di decarbonizzazione. E non è neanche un problema per le tecnologie, visto che proprio queste esperienze hanno riguardato l’installazione di impianti di riscaldamento più efficienti, la sostituzione degli infissi, l’isolamento termico dell’involucro edilizio, le schermature solari, i sistemi di regolazione automatica e gli impianti fotovoltaici. Bisogna ricordare che sul fronte del risparmio obbligatorio di energia, l’Italia ha aderito agli impegni assunti in sede europea per il 2030, secondo i target fissati dal Piano Nazionale Energia e Clima, del 2019, che pur essendo obsoleto e pronto per una profonda revisione ha più o meno confermato un ruolo di tutto rispetto del nostro Paese sul fronte del risparmio energetico (sono monitorati dall’ENEA riduzione di circa 1,1 milioni di tonnellate equivalentI di petrolio ogni anno rispetto agli attesi 1,26).

ALLORA PERCHÉ QUESTA LEVATA DI SCUDI contro la direttiva sull’efficienza energetica degli edifici attualmente in discussione in Europa? Se facciamo alcuni conti, questa opposizione non ha senso, come non ha senso una pregiudiziale negativa per rendere strutturale lo strumento degli Ecobonus, anche se con proposte migliorative.

I CONSUMI ENERGETICI DEL PATRIMONIO edilizio rappresentano la quota più alta dell’intero fabbisogno di un paese industrializzato, e per l’Italia questa quota vale più del 40%. Quindi se si è convinti della necessità del processo di decarbonizzazione per contrastare il cambiamento climatico, è obbligatorio partire da questo settore. Il risparmio energetico conseguente all’aumento delle classi energetiche da G o F verso la classe E di circa 21 milioni di appartamenti (cosa chiesta dall’Europa entro il 2030 per il settore residenziale) può essere cautelativamente stimato in una riduzione dei consumi del 15%, direttamente trasferito su un alleggerimento delle bollette energetiche delle famiglie, e – a conti fatti – questo risparmio vale 10-12 miliardi di euro ogni anno. Ma a fronte di quali costi?

LE CIFRE CHE ABBIAMO LETTO in questi giorni sono le più disparate e forse capziosamente dettate da un errore di fondo: stiamo parlando di un miglioramento che non deve obbligatoriamente spingere le riqualificazioni verso i risultati migliori possibili, le classi di efficienza ottimali, ma per il momento è sufficiente un salto di una o due classi (da F o nelle peggiori ipotesi G, ad E). Anche in questo caso una stima sommaria di 10-15.000 euro per alloggio, porterebbe ad investimenti dell’ordine di 30-40 miliardi di euro all’anno distribuiti nei prossimi sette anni da qui al 2030, metà dei quali è fisiologico che siano a carico delle Stato, come succede in Germania per esempio. A questo punto l’esperienza del Superbonus 110% ci dovrebbe far riflettere su quale strategia adottare in base alle cifre sopra esposte. E dovrebbe anche indicare quale strada intraprendere per un suo miglioramento strutturale, in ottica di quanto richiesto dall’Europa. Infatti, riferendosi ai dati degli ultimi report economici riguardanti il Superbonus, ad esempio: L’Impatto Economico del Superbonus 110% e il Costo Effettivo per lo Stato, della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, dicembre 2022, si può dire che per ogni euro speso dallo Stato sottoforma di agevolazione fiscale per i bonus edilizi, rientrano nelle casse dello Stato 43,3 centesimi, quasi la metà. Viene specificato inoltre che mentre il costo delle detrazioni per lo Stato è distribuito in un arco temporale pluriennale, ad esempio cinque anni, le maggiori entrate sono concentrate nel primo anno del periodo di detraibilità.

QUESTO SIGNIFICA NON SOLO che l’impatto sui conti pubblici e, in particolare, sul deficit è ritardato e diluito nel tempo, ma che, per via delle maggiori entrate anticipate, il costo netto è compensato in parte anche dall’attualizzazione di tali valori. Ma non è finita. Tutto quanto sopra detto senza pensare ai risultati economici delle imprese coinvolte e al sistema Italia in generale. Una ricerca condotta da Nomisma (Nomisma, Ance Emilia, Primo bilancio ambientale e sociale del superbonus, luglio 2022, https://www.infobuildenergia.it/approfondimenti/positivo-bilancio-superbonus-nomisma/), restituisce un quadro economico del Superbonus molto interessante: 1 euro investito ne genera quasi 3, tra effetto diretto, indiretto ed indotto in termini di attività produttiva e redditi di remunerazione del lavoro aggiuntivi che vanno ad alimentare una maggiore spesa in consumi finali, e quindi maggiori produzioni.

ALLORA, LA STORIA DELLA PATRIMONIALE è una boutade pericolosa. Sviluppando adeguati meccanismi finanziari per rendere l’efficienza energetica più attraente per l’intera filiera si può costruire una linea di sviluppo industriale nazionale, inserita in una strategia energetica pluriennale, con strumenti strutturali migliorati sulla base delle esperienze di questi anni. Questa strategia dovrebbe contemplare un rapporto con la Commissione Europea per definire il flusso di finanziamenti necessari dedicati alla riqualificazione energetica degli edifici in Italia (a causa della particolarità specifica del settore) e un ruolo significativo per le EsCO, società private che parteciperebbero agli investimenti.

A QUESTO PUNTO, NON BLOCCHIAMO il processo, ma rilanciamolo. L’attuale struttura del superbonus dovrebbe essere rivista proprio in funzione degli obiettivi posti dalla nuova direttiva sull’efficienza energetica. infatti, riconoscere il 110% a tutti gli interventi di efficienza energetica senza discriminare per classe energetica di partenza e tipologia di edificio rischia di non rendere coerenti gli sforzi necessari nei prossimi anni. Un nuovo superbonus potrebbe essere rivisitato riducendo la quota riconosciuta in funzione della classe energetica di partenza, garantendo una percentuale massima, ad esempio il 90%, agli edifici che oggi si trovano nelle fasce più basse e che saranno obbligati ad effettuare lavori di ristrutturazione entro il 2030. Inoltre, si dovrebbe anche dare priorità all’edilizia popolare e alle zone con concentrazione di redditi sotto la soglia di povertà per rendere questo strumento il vero contrasto alla povertà energetica.

* prorettore della Sapienza, università di Roma