Napolitano, preoccupato per la sorte delle riforme, convoca Renzi al Colle. Si vedranno oggi e il premier rassicurerà il presidente. Il testo base della riforma del Senato e del Titolo V che verrà votato dalla Commissione Affari costituzionali di palazzo Madama martedì prossimo non dovrebbe scostarsi troppo da quello proposto dal governo. Sulla carta la maggioranza, al momento, è in realtà favorevole a un testo che preveda l’elettività dei senatori, ma i cinque voti di Fi saranno determinanti e Renzi è convinto che rientreranno tutti nei ranghi. Merito dell’instancabile Verdini che giovedì è riuscito, chiamando i collaboratori dell’ex cavaliere negli studi di Porta a Porta, a ottenere la retromarcia del furioso. Il giorno prima aveva fatto lo stesso con il capo dei senatori Romani e ieri si è sentito a più riprese con il plenipotenziario del premier, Guerini.

Nel nuovo testo ci saranno modifiche sostanziose ma non sostanziali. Le regioni nomineranno un numero diverso di senatori a seconda della loro popolosità. Quelli indicati dal Colle non saranno più 21 ma tutt’alpiù 5. Dai poteri del nuovo Senato potrebbero essere depennate alcune nomine istituzionali. Ma nulla di più. Varcare questo confine vorrebbe dire stracciare il patto del Nazareno e questo, per ora, Berlusconi non intende farlo. Le cose potrebbero cambiare dopo le europee, a quel punto però non si tratterebbe più di riforma del Senato o elettorale ma direttamente di elezioni politiche anticipate. E’ questo lo spettro che si agita sullo sfondo delle fibrillazioni di questi giorni. Tutti ci pensano, molti ne parlano, nessuno le nomina: non starebbe bene.

Da settimane circola in parlamento il sospetto diffuso che, ove la prova di maggio lo autorizzasse a prevedere un massiccio successo alle politiche e le riforme sia economiche che istituzionali continuassero a segnare il passo, sarebbe lo stesso Renzi a puntare sul voto anticipato, adoperando come alibi le resistenze “conservatrici”. In questo caso, probabilmente, si voterebbe con la legge partorita dalla Corte costituzionale, il Consultellum, un proporzionale secco con soglie di sbarramento al 4% per i deputati e all’8 per i senatori. Per Renzi vorrebbe dire condannarsi in anticipo alle larghe intese, ma comporterebbe anche la garanzia, come leader del partito di maggioranza relativa, di tornare a palazzo Chigi dopo aver fatto piazza pulita dell’opposizione interna nei gruppi parlamentari. Pesa però un’incognita che solo il voto delle europee potrà chiarire. Se il M5S si rivelasse il primo partito, o il secondo a pochissime lunghezze dal Pd, le elezioni in autunno passerebbero da allettante opzione a trappola mortale da evitarsi a ogni costo, pena il rischio di trasformare l’ondata grillina in tsunami.

Anche per Berlusconi le elezioni subito potrebbero rivelarsi il male minore. Aveva scommesso sull’Italicum quando era certo che la sua coalizione sarebbe arrivata nella peggiore delle ipotesi seconda. Il voto potrebbe smentirlo e allora l’Italicum diventerebbe una ghigliottina. Se poi Alfano e i suoi uscissero premiati dalle urne europee, superando e magari anche con un certo margine la soglia del 4%, il pericolo raddoppierebbe: il tempo giocherebbe a tutto vantaggio del parricida. Le elezioni col Consultellum, invece, garantirebbero al pregiudicato la partecipazione da una posizione di forza al prossimo governo, con peso determinante nel definire sia la nuova legge elettorale che le riforme istituzionali.

Il condannatissimo è tentato. Anche lui, però, deve fare i conti con due spettri. Il primo è l’eventualità, improbabile ma non impossibile, che Renzi riesca davvero a varare a maggioranza secca una nuova legge elettorale entro settembre: è l’argomento che usa puntualmente Verdini per convincerlo ai miti consigli. Il secondo è un risultato talmente disastroso alle europee da fargli vaticinare il crollo finale in caso di nuove elezioni pochi mesi dopo.
In caso di vittoria, sarà Grillo a invocare le elezioni a voce altissima. Se si affermasse come primo partito, Il M5S sarebbe secondo numerose voci pronto a convocare i militanti in piazza per circondare pacificamente Quirinale, Montecitorio e palazzo Madama. Con l’ordine di non sgomberare sino a che re Giorgio non avrà sciolto le camere. Dunque fino alle europee, come ripeterà oggi Renzi a Napolitano, tutto si limiterà davvero a propaganda e messa in scena. Dopo il voto, però, la realtà smetterà di essere virtuale.