Nell’opera di Luca Vitone istanze concettuali dialogano con indagini di carattere cartografico e antropologico, volte ad analizzare luoghi e territori. Nato a Genova nel 1964, l’artista ha vissuto a lungo a Milano, prima di trasferirsi a Berlino. Nel corso degli anni Novanta ha collaborato con il Link Project di Bologna, ha esposto al Ps1 di New York e in numerosi altri spazi, come Neuer Berliner Kunstverein di Berlino, Bazar di Bruxelles, Pac di Milano, alla Biennale d’Arte di Venezia, al Padiglione Italia nel 2013, e nel 2003 a «Stazione Utopia» con l’opera Eppur si muove, una bandiera che rappresenta una ruota rossa su fondo nero, per suggerire l’identità senza confini dei rom.
Vitone è vincitore del premio promosso dell’Italian Council del Mibac con il progetto Romanistan.

Nel corso degli anni hai cartografato luoghi, spazi, situazioni. In «Non siamo mai soli», la serie del 1994 c’erano quindici oggetti con le planimetrie delle abitazioni in cui si trovavano originariamente. In quello stesso anno, c’è un allontanamento dalla memoria personale e un avvicinamento ai percorsi migratori dei rom in Germania, con la mostra «Der unbestimmte Ort (Il luogo imprecisato)» alla galleria Christian Nagel di Colonia. Questa mostra è stata l’origine dell’interesse per i rom?
Il 1994 lo considero, a posteriori, un anno di transizione, in cui sono passato da una visione generale a un’analisi più dettagliata di alcuni aspetti del mio operare sia dal punto di vista dei temi, sia da quello formale. Forse avevo la necessità di approfondire alcuni argomenti riguardanti il nostro vivere i luoghi di appartenenza. Da una parte, scendendo nell’esperienza intima, come l’opera Non siamo mai soli (appena citata) che riflette sul rapporto tra gli ambienti domestici e la nostra memoria personale; dall’altra, indagando la relazione tra noi e gli altri: si attiva così un luogo d’incontro tra due diverse comunità che convivono da secoli sullo stesso territorio, cittadini del medesimo Stato, anche se una delle due subisce una forte emarginazione imposta da pregiudizi sviluppatisi nei secoli. Mi riferisco a Der unbestimmte Ort, per cui alla galleria Nagel organizzo, con la collaborazione della comunità Rom di Colonia, una mostra con opere che si interrogavano sulle relazioni tra i due gruppi e gli inevitabili clichés che ne scaturivano. Foto, cartografie, cibi, musiche e chiromanzia raccontavano i fragili aspetti di una cultura orale, dell’idea del viaggio migratorio e lo stereotipo del nomadismo, dell’emarginazione e segregazione che, a seconda dei periodi storici, si è sviluppata in modo più o meno violento, diventando pratica di Stato.

«Romanistan» ripercorre a ritroso l’itinerario della migrazione dei rom dall’India all’Europa. Un viaggio che partirà in auto da Bologna per raggiungere l’India dopo sei settimane. Perché questo percorso?
L’itinerario aiuta ad affrontare un viaggio di ritorno alle origini, non mie ma di altri, osservando con uno sguardo straniero un paesaggio epico che ha vissuto per secoli attraversamenti in opposte direzioni. Queste hanno caratterizzato lo sviluppo della nostra società con conquiste e fallimenti, ufficialità e emarginazione. Quando nel XIV secolo rom e sinti sono approdati in Europa, la gestione del territorio era già definita e non c’era spazio per i nuovi arrivati, giunti sparpagliati senza un’idea di Stato e senza un esercito per occupare un’area in cui rendersi sedentari. Lingua, cultura e abitudini diverse creano lo stereotipo negativo e la conseguente emarginazione, perché pare non ci sia spazio per chi non si adegua allo status quo e al pensiero dominante.
Partiremo da Bologna, città che custodisce, nella Biblioteca Universitaria, una cronaca cittadina con il più antico documento che testimonia la presenza dei rom in Italia, quando il duca Andrea del Piccolo Egitto si presenta col suo seguito alle porte di Bologna il 18 luglio 1422.

Nell’opera «Wide City» è indagata la presenza delle minoranze etniche nella città di Milano. Con «Romanistan» sei tu lo straniero. Hai già pianificato degli incontri con artisti e intellettuali che vivono nei paesi che verranno attraversati?
Non mi interessa in questo contesto rivangare il luogo comune del rom emarginato, povero, abitante del ghetto. In Italia abitano circa 170mila rom e solo 20-30mila vivono in quei tuguri chiamati campi. Gli altri sono tra di noi come normali cittadini, solo col timore costante che se sono riconosciuti come zingari rischiano l’emarginazione. Non sappiamo o non ci vogliamo rendere conto che anche loro, come ogni popolo, hanno un premio Nobel, un presidente della repubblica, famosi attori e sportivi che seguiamo, magari a nostra insaputa, con piacere. Per cui nel nostro viaggio incontreremo personalità della politica e della cultura che rappresentano la borghesia intellettuale rom.

Saranno girati anche video nel corso del viaggio? Come per esempio «Route 181» di Eyal Sivan e «Contained Mobility» di Ursula Biemann, opere in cui – attraverso istanze cartografiche – gli autori hanno analizzato la storia collettiva…
L’opera principale sarà proprio un video, che presenterò nella mostra personale al museo Pecci di Prato il 12 novembre prossimo e al festival Schermo dell’arte nella stessa settimana. Altri lavori dedicati al progetto, alcuni già esistenti e altre inedite, saranno parte della mostra, anche se è prematuro parlarne. Lo capiremo nei prossimi mesi. Il video Romanistan, dopo il Pecci, sarà proiettato negli Istituti italiani di cultura di San Paolo e di Londra, al Weserburg Museum für Moderne Kunst di Brema, al Maxxi di Roma, al n.b.k. di Berlino, al Magazzino Italian Art di Cold Spring – New York, e al Centre D’Art Contemporain di Ginevra.

Quali sono gli autori che hanno procurato la migliore compagnia nel «leggere il tempo nello spazio» dei rom? Perché, come suggerisce Karl Schlogel nel titolo del libro da lui scritto, la storia si svolge non solo nel tempo ma anche nello spazio…
Il mondo romanì mi ha attratto fin dalla giovinezza, per cui i testi letti sono stati molti, senza contare tutti quelli che parlano di minoranze, luoghi, geografie che hanno arricchito la mia conoscenza sull’argomento. Citerei alcuni autori, rom e non, che sull’argomento hanno scritto parole significative: Kenrick, Puxon, Hancock, Deloria, de Vaux de Foletier, Piasere, Fings e non ultimo Santino Spinelli, musicista, musicologo, compositore e professore universitario rom abruzzese, membro della International Romanì Union, che ha scritto libri importanti sull’argomento e che partecipa al progetto e al viaggio aiutandomi a raggiungere le personalità che incontreremo, e a pensare elementi della colonna sonora. Parteciperanno all’avventura anche Daniele Gasparinetti, Pietro de Tilla, Athos Ghiringhelli, Enrico Manfredini, Elvio Manuzzi, Giovanni Oberti e Gennaro Spinelli, mentre dallo studio ci seguiranno Lisa Andreani, Alessandro Manfrin e Cristiana Stona.

 

SCHEDA

«Romanistan» di Luca Vitone è un progetto promosso dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, vincitore della IV edizione del bando Italian Council (2018), concorso ideato dalla Direzione generale arte e architettura contemporanee e periferie urbane (Dgaap) del Ministero per i beni e le attività culturali, per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo. In collaborazione con «Il manifesto», sul nostro sito, uscirà ogni settimana un breve diario di viaggio che segnerà le tappe del percorso dell’artista con il suo gruppo. Le tappe saranno narrate su www.ilmanifesto.it ogni venerdì a partire dal 31 maggio, per finire il racconto di parole e immagini il 5 luglio ( sei puntate). Sul sito di Luca Vitone sarà possibile vedere le coordinate geografiche in cui si troverà ogni tot minuti. www.lucavitone.eu