Alla memoria di Gigi Abellonio

Alba la si era persa, nella maniera che tutti sanno, il due di novembre: il rastrellamento mai visto, che per settimane ci aveva mulinato come pula, era finito; a tutti i cantoni di Alba era fresco di colla quel tale bando del Colonnello Pieroni che prometteva salvezza a quelli che si consegnavano e distruzione ai partigiani impenitenti.

Fu allora che le nostre donne, le vecchie e le giovani, uscirono di città e rovistarono le colline per cercarci dov’eravamo e notificarci quel bando con tutte le sue garanzie e tutte le sue minacce.

A sua madre, abbandonata su una panca dal pastino di Bellonuovo, sfinita e sporcata da un cammino di due ore per i bricchi, Paul disse di no, che non si consegnava, capiva bene il rischio suo proprio e il crepacuore di lei, ma che sarebbe andato sino in fondo.

Lei era spossata di parole e di strada, disse solo più: – Rimani. Se te la senti rimani. Ma sappi che tutte le volte che li vedrò passare coi camion e le mitraglie verso queste colline dove sei, sappi che io mi sentirò rompersi il filo che mi regge il cuore.

Paul l’abbracciò, e sua madre nella stretta non potè non sentire contro la sua carne il duro della pistola nella tasca di lui.
Attraversò il pastino e sulla porta il fornaio gli mise una mano nella mano e in tasca un salamotto incartato. Paul gli fu grato anche per questo, ma soprattutto perché poco fa non gli aveva detto di rifletterci bene.

Fuori, la sera stava calando come un coperchio, come fa di novembre. Lui pestò i piedi per aggiustarseli negli scarponi e partì. Risalita per duecento metri la provinciale, tagliò in un prato in salita e si mise sulla stradetta di San Rocco. Andando, pensava a sua madre che adesso prendeva a tornarsene ad Alba per la lunga strada. In un paio d’ore sarebbe stata nella loro casa in via dei Mille, passando nel corridoio si sporgerebbe a guardare il letto di Paul che chissà quando l’avrebbe avuto a rifare, e poi chiamerebbe suo padre per dirgli come lui aveva deciso di restar su. Dopo cena si sarebbero sentita la radio inglese e se gli alleati non erano avanzati un pochino li prenderebbe la disperazione.

– Dio, i miei li faccio invecchiare d’un anno al giorno, per ognuno di questi giorni.
Entrò nella piazzetta di S. Rocco. C’era, da una banda, un lume, che sembrava avesse paura di stare acceso. L’osteria. L’uscio si aprì prima che lui spingesse, venne fuori l’oste giovane e dentro Paul non ci potè vedere.

– Oh, Paul. Sei che vai su?

– Devo ancora farmi due colline.

– Lo sai che qui c’è capitata la repubblica, oggi?
– Io non ho sentito niente. Quella di Alba? In tanti?
– Io dico che erano cento.
– E possibile che han fatto niente?
– Qualcosa han ben fatto.

Paul fiutò l’aria per coglierci odore di bruciato.
– No, – fece l’oste: – Per bruciare non han bruciato. Ma ti faccio vedere.
S’incamminarono verso il mezzo della piazzetta tritata dai carri, dalla parte della chiesa e della scuola.
– Lasciami andare avanti me, – disse l’oste.
– Io ho mica paura
– Lo so, ma ci potresti inciampare.

L’oste si fermò e e fermò Paul stendendogli un braccio avanti al petto. Paul non ci schiariva niente di niente. L’altro tirò fuori un suo accendino, ma subito non funzionò. Al quarto o quinto colpo si accese, e la fiammella grossa come un pollice oscillò sopra un morto, coperto da una qualche cosa che a Paul non sembrava tutta di un colore.

– Fucilato, – disse l’oste: – Nove ore fa. – E mentre Paul si chinava a scoprirgli la faccia, aggiunse: – È la bandiera della scuola, ma non lo copre tutto, anche se lui è piccolino.
Il viso era intatto. Paul non se la sentì di guardare se gli avevano dato il colpo di grazia, dietro. E poi la fiammella tradiva.
– Adesso vuoi vederlo nel petto?
Il fuoco mancò. Mentre tentava di riaccendere, l’oste disse: – Si direbbe che anche la macchinetta ha paura.
– Io dico che questo serve a toglierla la paura.

L’altro smise di sollecitare la macchinetta. Era talmente nervoso. – Vuoi che andiamo, Paul?
– Vuoi riaccendere?
Riaccese, ma non si curvò con Paul, a guardare. Disse, a testa eretta: – Un buon caricatore di mitra.
– Gli avete contato i buchi?
– Ho visto coi miei occhi a fucilarlo.
– Spiega.

Ci hanno obbligati. Tutti quanti abbiamo casa sulla piazza. Anche il parroco e la maestra.
– Dove l’avevano preso?
– In una vigna qui sopra che adesso non puoi vedere. Un giorno che t’incontro di nuovo, ricordati di dirmi d’insegnartela.
– Era armato?
– Aveva uno scacciacani, un pistolino che non so se ce la faceva a sputar la pallottola, L’ho visto in mano a un ufficiale.
– Dimmi quand’è stato.
– Stamattina, che erano le undici.
– E non l’avete tolto di lì. Con tutto il tempo che c’è passato? E con la chiesa a un passo?
– Paul, tu non hai sentito gli ufficiali. Gli ufficiali han detto che guai al paese se lo si tocca prima di ventiquattr’ore. E poi di non seppellirlo da cristiano. Questo al parroco.
– Ma non sono mica tornati?
– Ma potevano tornare, e siamo trecento anime qui a S. Rocco. Ricoprilo, va!
Paul lo ricoprì e l’oste soffiò forte sull’accendino.
Tornarono insieme all’osteria ma sull’uscio Paul si tirò indietro.
– Non entri?
Non aveva tempo, diede solo un’occhiata dentro, c’era un vecchio curvo su un tavolo, senza bicchiere né pipa.

– È un tuo cliente?
– È il padre del mugnaio. Quel tuo compagno, domani lo portiamo su al camposanto di Treiso. Fossimo sicuri che quelli là non vengono dalle nostre parti. Gli facciamo un bel funerale se domani piove o fa nebbione. Speriamoci.
Quel vecchio s’era levato, si diede un giro nella mantella e venne all’uscita. Fece a Paul: – Questo qui te l’ha detto che c’ero anch’io stamattina, obbligato a vedere? Non è una guerra onesta, lasciatevelo dire. Quella del quindici, la nostra, quella sì che era una guerra onesta. Di’ un po’ che non finisce per Natale?

– No, che non finisce.
– Be’, avrete un inverno cane. Ciao, patriota, – e se ne andò verso il mulino.
Disse l’oste: – Vuoi da bere caldo?
– No. Voglio andare.

L’altro gli infilò un pacchetto nel taschino.
– Sono solo popolari.
– Ci vediamo.
– Il meno possibile, Paul, per carità.
Non era il primo che vedeva e non sarebbe stato l’ultimo, eppure sull’orlo della piazzetta si voltò, ma niente affiorava dal buio.

– Qui ne trovate dei fiori? – Disse forte all’oste laggiù.
– Stai tranquillo per quello, le ragazze delle cascine gli fanno una corona, stanotte.

Si fece la prima collina e spuntò sotto il muretto del camposanto di Treiso. L’han disegnato e fatto troppo grande per il paesello che è Treiso, ma a fare onore a tutto quello spazio ci stavano pensando loro partigiani.
In cima alla seconda collina c’è la cascina dove lui aveva deciso di passar la notte.

Da sull’aia chiamò forte il mezzadro ed aspettò. Poi la porta si schiuse, come da sé.
– Sono Paul. Sono quel ragazzo di Alba.
– Ti conosco. Cosa vuoi?
– Del pane e dormire nella stalla.

La fessura si slargò e se ne sporse un quarto d’uomo a dire: – Il pane vientelo a prendere. Quanto alla stalla, non hai che da spingere la porta. Ma ti chiedo una carità. Che domani mattina sii in piedi per quattr’ore.

Calda che trasudava era la stalla. Coi buoi voltati a guardarlo, mangiò il salamotto del fornaio col pane del mezzadro. Poi ci fumò sopra una sigaretta dell’oste. Tutti davano ai partigiani, loro partigiani mettevano l’arma e la pelle.
S’incassò nella greppia e finché fu sveglio si parava con le mani dal muso dei buoi. Ma poi le bestie poterono annusarlo e scozzonarlo finché vollero, lui dormiva, senza sogni e senza paure.

Il racconto è tratto dal volume «Tutti i racconti», Einaudi.